Papa M Live from a shark cage
Papa M è uno fra i tanti progetti dietro al quale si cela il nome di David Pajo, chitarrista-pluristrumentista nato in Texas nel 1968. Per chi non lo sapesse Pajo ha iniziato a farsi le ossa come chitarrista negli Slint. Di sicuro il termine post-rock, coniato dopo l'uscita di “Spiderland” (1991), non sarebbe mai stato pronunciato così come non avremmo avuto notizia riguardo le decine di bands venute successivamente ad infoltire il "genere" (varianti comprese). Dopo gli Slint, David Pajo ha prestato la sua opera suonando di tutto in diverse formazioni fondamentali dell'underground USA, ricordiamo i King Kong (alla batteria), i For Carnation, Tortoise (con i quali collabora a “Millions Now Living Will Never Die” del 1996, in qualità di uno dei due bassisti e compositore) e Will Oldham's Palace (strumenti vari). Oltre ad estemporanee apparizioni con Stereolab, Royal Trux (alla chitarra basso), gli Zwan di Billy Corgan e Peggy Honeywell.
Non appagato di tutto questo, ha intrapreso una brillante carriera solista frutto di una ricerca personale che continua a terzo millennio iniziato e di un modo davvero particolare di suonare e di intendere la musica. “Live from a Shark Cage” segue una già intensa fase solista, tre album incisi con il moniker Aerial M: l’omonimo per Domino nel 1997, e due per la Drag City nel 1999, “Post Global Music” e “October”. In questa prima opera come Papa M David Pajo spazia con la sua chitarra fra generi diversissimi fra loro con il suo stile slo-core sempre più sofisticato. Ecco, se c'è una costante nella musica di Papa M, è la lentezza, anche se mai esasperata o portata al'estremo. Il primo pezzo parte con un attacco di elettronica che potrebbe far pensare ai Tortoise meno "ambient"sul quale si innesta la chitarra di Pajo, con i suoi scarni ed evocativi accordi. L'atmosfera che si respira è raccolta, meditativa, quasi fosse musica spirituale.
Il secondo brano, Roadrunner, ricorda il folk straniante di John Fahey, accompagnato da pizzicate e arpeggi ed un leggero rumore di sottofondo, per poi proseguire circolare e spegnersi lentamente. Lo spettro di John Fahey tornerà spesso in questo disco: come disse una volta Mr.Sonic Youth: "John Fahey, il padre di tutti noi!". La terza traccia si regge su un "semplice" giro di chitarra puntellato da una timida dose di elettronica "povera" che ne accentua il ritmo. La successiva evoca una psichedelia che riporta ai lavori di Roy Montgomery con gli Hash Jar Tempo e da solista, quasi un mantra che potrebbe continuare all'infinito, con percussioni di sottofondo molto vicine, come timbro, a quelle dei nativi americani. A metà album troviamo un delizioso e simpatico stacchetto jazzato per poi proseguire fra sperimentazione e tradizione. I am not lonely with cricket (14:56), ad esempio, un lunghissimo segmento di splendente minimalismo drone, potrebbero essere i Calexico (privati di quasi tutti gli strumenti) alle prese con un vecchio blues. La seguente Knocking the casket evoca gli immensi spazi nordamericani, le foreste, i laghi, i grandi fiumi, in un momento di assoluta serenità per l'animo. Il pezzo che conclude il disco, fra dita che scivolano sapientemente sui tasti ed un tema di fondo quasi da Requiem fa comparire la scritta THE END sullo schermo.
Il viaggio è terminato. Quello che appare più incredibile è la capacità di Pajo di creare, passateci il termine, perfetti "acquerelli sonori", fruibili dall'ascoltatore meno attento così come dal più "maniacale". La sua tecnica perfetta, mai fine a se stessa, mai autocelebrativa, è tesa alla semplicità, alla ricerca profonda del minimalismo, vera ossessione del nostro. Pensate ad un chitarrista eccelso che invece di baloccarsi con complesse architetture, assoli infiniti e composizioni prog improbabili, cerca di fare del suo meglio per semplificare, sgrassare, snellire e ridurre al minimo non solo gli orpelli ma anche la struttura portante della sua musica. Senza per questo perdere nulla in intensità ma anzi creando una profondità tale ed aprendo spazi che lasciano a bocca aperta. Ed è questa capacità che fa di Pajo uno dei chitarristi più colti ed intelligenti del terzo millennio. Nel 2005, dopo un altro album solista come Papa M, “Whatever, Mortal” (2001, Drag City) partecipa ad un acclamato reunion tour con gli altri ex membri degli Slint. Quindi altri due album in solitudine come Pajo, l’ennesimo moniker: “Pajo” (2005, Drag City) e “1968” (2006, Drag City), tutti di ottima qualità. Straconsigliato a tutti, maniaci e non!
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