Migliora leggibilitàStampa
24 Novembre 2014 , , ,

The Nice Appesi ad un sogno

2014

niceINTRO: La prima vera progressive rock band della storia?

 

Attualmente è convenzione, tra gli appassionati di classificazioni e catalogazioni, identificare con “In the court of the Crimson King”, pubblicato dai King Crimson nel 1969, il primo vero e proprio album di rock progressivo, con al suo interno tutti gli stilemi che caratterizzeranno il genere nei decenni successivi. Ma, poiché innice tutte le forme d’arte nulla scaturisce dal nulla, ma è sempre frutto di contaminazioni e metabolizzazioni di esperienze e influenze precedenti, prima di quel fatidico album avvisaglie di “proto-prog” venivano percepite in gruppi come Moody Blues, Procol Harum e Vanilla Fudge, o persino nelle sperimentazioni più ardite dei Beatles o nelle lunghe dilatazioni delle band psichedeliche. In tutto questo quadro, però, si tende inspiegabilmente, ma soprattutto ingiustamente, a trascurare una formazione che nella seconda metà degli anni ’60 ha compiuto un cammino ben determinato verso il progressive rock: loro si chiamavano The Nice e furono la band in cui esordì Keith Emerson, futuro leader di Emerson Lake & Palmer, da molti riconosciuto come uno dei più grandi tastieristi rock, se forse non il più grande, di sempre.

 

Una nuova inedita formula: potere alle tastiere

 

The Nice contenevano nel loro sound alcuni aspetti che, a posteriori, verranno codificati dalla critica mondiale come elementi-chiave del concetto di musica progressiva: cercavano infatti l’incontro tra il rock e la musica classica, mettendo in atto anche ardite contaminazioni tra i due generi mediante riletture irriverenti delle partiture di grandi Nicecompositori del passato, uscivano dai canoni della forma-canzone in modo diverso da come fino a quel momento aveva fatto la psichedelia, cioè non semplicemente dilatando gli assoli o reiterando il riff principale, magari in preda a effetti di sostanze, ma strutturando le composizioni secondo lo schema di vere e proprie suites, davano ampio risalto allaemersonnice tecnica sui singoli strumenti e, soprattutto, nascevano come un quartetto keyboard-oriented, cioè non dominato dalla chitarra, come il sound del rock aveva ormai abituato i propri ascoltatori, ma dalle tastiere del già citato Emerson; e, ben presto, con la fuoriuscita di un chitarrista non in grado di sostenere questa posizione subordinata, nicediventavano addirittura un power-trio che sovvertiva tutte le geometrie stabilite e stabilizzate da gruppi come Cream o Jimi Hendrix Experience. Il triangolo, dunque, non era più chitarra-basso-batteria, ma tastiere (tante tastiere)-basso-batteria. The Nice, insomma, regalavano dignità solista alla figura del tastierista in un modo completamente diverso da quanto si era sentito fino a quel momento; ci troviamo a cavallo tra il 1966 e il 1967 e fino ad allora il concetto di tastierista rock si reggeva su due canoni ben precisi: o il pianista rock’n’roll alla Jerry Lee Lewis, asciutto, percussivo, che costruiva le sue figure armonico-melodiche su reiterazioni e ostinati, o l’organista di smooth-jazz, alla Jimmy Smith o alla Brian Auger, una figura comunque lontana dall’esuberanza del rock, più parente del jazz, appunto, del soul e del rhythm’n’blues.

 

Keith Emerson, Lee Jackson, Brian Davison, David O’List

 

emersonKeith Emerson, studente di evidente formazione classica fin da bambino, ma amante del jazz e del musical, rivoluzionerà tutto, mescolerà questi ingredienti e ne introdurrà di nuovi, costruendo un fraseggio tutto suo e immediatamente riconoscibile, suo marchio di fabbrica ancora oggi, nel quale farà confluire tutto il suo amore per i compositori russi e dell’Est Europeo a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, da Mussorgskij a Thcaikovskij, da Stravinskij a Bartok, quelli occidentali della prima metà del secolo, da Cole Porter a Leonard Bernstein, fino ad Aaron Copeland, lo swing, il ragtime e una bizzarra cadenza da marcette militari. Come accadeva a molte bands dell’epoca, The Nice furono assemblati dalla casa discografica come band per una solista: nella fattispecie si trattava della cantante soul e gospel P.P. Arnold (Patricia Ann Cole all’anagrafe), che all’epoca aveva già collaborato anche con Steve Marriott e Ronnie Lane degli Small Faces, un nome di tutto rispetto quindi, che peraltro oggi, dopo circa mezzonice Lee Jackson secolo, è ancora in attività. La cantante americana aveva bisogno di un gruppo per la sua tournèe britannica del 1967 e così furono radunati il chitarrista David O’List, il bassista di estrazione blues Lee Jackson, il tastierista Keith Emerson e il batterista Ian Hague, quasi subito sostituito da Brian Davison. È curioso notare che in realtà, all’anagrafe, anche Jackson si chiamava Keith, ma fu prontamente soprannominato Lee per evitare nice brian davisonconfusioni con quell’istrionico tastierista che fin da subito sembrava aver preso le redini della band. Il gruppo invece avrebbe dovuto chiamarsi The Little People, ma poiché quella definizione fu adoperata più o meno nello stesso periodo da una congregazione religiosa (The Little People Apostolic Intervention), fu proprio il già citato Steve Marriott a giungere in soccorso del quartetto: nei testi delle sue canzoni, infatti, adoperava spesso un’espressione in slang, “here come the nice”, che potremmo quasi letteralmente tradurre con “adesso arriva il bello”, ma che in realtà nel linguaggio giovanile dell’epoca indicava un ben più enfatico “sto alla grande”, “mi sento al top”. Emerson e soci pensarono che questa esclamazione fosse ben augurante ed ecco nato il nome The Nice.

 

Serie intenzioni: tra psichedelia e classica 

 

Ben presto i quattro musicisti, il manager e la casa discografica capirono che le potenzialità di questa formazione erano ben superiori a quelle di un nucleo di turnisti al servizio di altri cantanti, e così ecco prendere forma, nel 1967 per l’etichetta Immediate Records, l’album di debutto “The toughts of Emerlist Davjack”: otto tracce per complessivi 38 minuti più o meno esatti, suddivise in quattro titoli per ciascuna facciata, con Emerson, O’ List e Jackson accreditati nei vari brani come co-autori tutti insieme o in diverseNice cover_toughts combinazioni tra loro. Il titolo è chiaramente una somma dei cognomi dei quattro componenti, soluzione certamente per l’epoca atipica, atta a sottolineare l’importanza di ogni singolo membro nelle dinamiche sonore della formazione. Il disco è forse un po’ acerbo, ma fresco e piacevolissimo, il progressive rock è ancora lontano e le atmosfere fluttuano tra beat e psichedelia, un po’ come avveniva, nello stesso periodo, nei 45 giri d’esordio di bands come Soft Machine, Caravan e Pink Floyd, che ben presto prenderanno tutt’altre strade. Ma già in questo lavoro spiccano gli oltre 8 minuti di Rondo, una rivisitazione da parte della band del Blue Rondo à la Turk, uno standard jazz del pianista Dave Brubeck che Emerson trasforma in una vera cavalcata dove, su un basso pulsante, si lancia in tutte le sue emerlistdavjackdivagazioni classicheggianti. Questo brano diventerà uno dei massimi cavalli di battaglia della band dal vivo, con il tastierista che lo adopererà come piattaforma per le sue sperimentazioni, filtrando il suono dell’organo Hammond tramite distorsori di ogni tipo, addirittura piantando coltelli tra i tasti per tenere bloccati gli accordi su cui intende costruire le proprie improvvisazioni e, persino, introducendo negli assoli citazioni da altri standard di jazz e da brani di musica classica, alcuni dei quali suonati persino da dietro la tastiera, per mostrare al pubblico tutta la sua tecnica, nettamente superiore a qualsiasi tastierista in circolazionenice all’epoca. Si può dire che in quel brano c’è già tutto Keith Emerson, o almeno una buona parte. E, comunque, quel suo fraseggio così inconfondibile fa già capolino tra le cascate di note delle escursioni solistiche. Sullo stesso album, le sperimentazioni sonore (ancora sull’Hammond) presenti in Dawn, influenzeranno pesantemente tutte le band dell’epoca, dai Quatermass (un altro power-trio guidato dalle tastiere, che pubblicherà un solo, mirabolante disco nel 1970), ai Deep Purple, fino agli italo-britannici The Trip. Un altro brano che dimostra quanto questa band fosse avanti al proprio tempo, ricco di soluzioni atipiche, dal cantato sussurrato dall’inizio alla fine, all’inserimento di bizzarri assoli di batteria che si potrebbero definire destrutturati. Nella conclusiva The Cry of Eugene, impreziosita da eleganti interventi orchestrali secondo uno stile molto in voga all’epoca, il cantato di Lee Jackson anticipa già quelle che saranno le melodie vocali dei King Crimson. Dopo questa esperienza, il chitarrista David O’ List lascia la band.

 

Traversie di un chitarrista

 

I nostri, con Emerson come forte figura di riferimento, decidono di continuare in tre. Ma non subito: prima fanno dei provini ai quali partecipa nientemeno che Steve Howe che, invece, un paio d’anni dopo sceglierà di sostituire il dimissionario Peter Banks negli Yes e Davy O_List 1968 troverà in questa mossa la sua imperitura fortuna e la sua conclamazione tra i giganti del rock. Non esistono, purtroppo, testimonianze audio o video, del fugace passaggio, di poche ore, di Howe alla corte di Emerson. Agli appassionati del genere resterà per sempre la curiosità di sapere quali enormi potenzialità avrebbe potuto esprimere questo chitarrista, che nei decenni ha composto insieme a strepitosi tastieristi del calibro di Rick Wakeman, Tony Kaye o Patrick Moraz, interfacciandosi con la folle genialità di Emerson. Una domanda destinatanice live a restare senza risposta. Merita invece la giusta attenzione lo sfortunato David O’List, che potrebbe forse fregiarsi del titolo di musicista più fuori luogo nella storia del rock: fu lui, infatti, a sostituire per pochi concerti l’ormai ingestibile e allucinato Syd Barrett nei Pink Floyd, che però scelsero in via definitiva David Gilmour; fu ancora O’List a sostituire Mick Abrahams nei Jethro Tull, ma fu rapidamente sbattuto fuori a vantaggio di Martin “Lancelot” Barre e, infine, fu sempre O’List nel nucleo originario dei Roxy Music, che lo sostituirono ben presto con Phil Manzanera. Questo sfortunatissimo chitarrista non si diede mai per vinto, e negli anni ’80 fu persino membro di alcune oscure e sotterranee bands di new-wave, che non ebbero grande fortuna. Keith Emerson, Roger Waters, Ian Anderson, Brian Ferry: non si può negare che O’List avesse un certo talento nello scegliersi dei leader dispotici, carismatici e decisamente preponderanti.

 

Un trio 'definitivo': tra classica e sperimentazione

 

Nice ArsLongaLasciato O’List alle proprie assurde vicende e stabilizzatisi come trio, The Nice fanno uscire, nel novembre del 1968 per Immediate Records, il loro album più famoso, “Ars Longa, Vita Brevis”. L’apertura affidata all’allegra canzonetta Daddy, where i did come from, nonostante qualche accattivante svisata organistica di Emerson, tradisce ancora pesantemente le origini pop e beat della band, ma i canoni prog-rock ormai sono ben delineati: ci sono circa 9 minuti di trascrizione da Sibelius, Intermezzo from Karelia Suite, nel quale Jackson enfatizza il nicesapore classicheggiante della musica dei Nice suonando il basso con l’archetto e, soprattutto, c’è una suite, che dà il titolo all’album, che occupa l’intera facciata B. Il set di Brian Davison si è fatto più complesso, arricchito con gongs di diverse dimensioni, piccole percussioni, timpani, fischietti, per accentuare il più possibile la componente sinfonica del suono, ma è comunque inopinabilmente Emerson a dominare la scena. Nei 19 minuti di Ars Longa… i nostri tre si spingono a livelli di sperimentazione per l’epoca notevoli, tra avanguardia e rumorismo puro.

 

Splendori live: ponti ed elegie

 

La loro dimensione ideale è sul palco, che diventa un cantiere per la loro voglia di ricerca e di spingere in avanti costantemente i propri limiti. Per questo motivo, a settembre del 1969, i nostri pubblicano un album parzialmente dal vivo, intitolato semplicemente “The Nice”, che però in alcune edizioni reca un altro titolo in copertina: “Everything as Nice as nice_samealbummother makes it”. Si tratta di uno strano ibrido, con una facciata A realizzata presso i Trident Studios di Londra e una facciata B live al Fillmore East di New York. Contrariamente a quanto di solito succede nei dischi dal vivo, nessuna traccia è già stata pubblicata, ma vi è contenuto tutto materiale inedito a parte una lunga ed esuberante versione live di Rondo, ribattezzata per l’occasione Rondo ’69. Ciò spingerà gli amanti della band a identificare la traccia originale in studio presente sul primo album come Rondo ’67. Ma, soprattutto, niente riletturenice-terzo classiche, questa volta. Ma, a sorpresa, due covers di due grandissimi cantautori: Hang on to a dream di Tim Hardin e She belongs to me di Bob Dylan. La prima di queste due, in particolare, è forse il momento più alto nella storia dei Nice, con lo scintillante pianoforte di Emerson che evoca già in modo deciso le atmosfere di Take a pebble, sul primo album dei suoi successivi ELP, e con un cantato di Jackson tra i suoi più ispirati. La composizione dylaniana, invece, viene addirittura dilatata a oltre 12 minuti: il cantato presenta una inaspettata enfasi teatrale che potrebbe far pensare che sia stato di ispirazione per Peter Gabriel nei Genesis o per Peter Hammill nei Van Der Graaf Generator, mentre le divagazioni strumentali sono ormai indistinguibili da ciò che Keith Emerson andrà presto a pubblicare con gli ELP.

 

Interamente dal vivo, registrato il 17 ottobre del 1969, è l’ultimo capitolo nella storia dei Nice: l’album si intitola “Five Bridges”, e vede la prima facciata interamente dedicata a una suite omonima in cinque movimenti, dove i musicisti sono accompagnati da un’orchestra Nice_5bridgessinfonica. Il Lato B è invece quasi totalmente affidato a riletture di partiture classiche: il già noto Intermezzo from Karelia Suite di Sibelius, la Pathetique, di P. I. Tchaikovsky, uno strano e imprevedibile medley tra il Brandenburg Concerto di J. S. Bach e un’altra canzone dylaniana, Country Pie e, per concludere, un brano ineditoemerson firmato Emerson/Jackson: One of those people. Solo la ristampa in CD del 1990 di questo album conterrà anche un altro dei più famosi cavalli di battaglia di questa band dal vivo insieme al Rondo: si tratta di America, il famosissimo tema di West Side Story, scritto da Leonard Bernstein, che ai Nice portò non poche grane legali oltreoceano, a causa del fatto che il sempre più istrionico e indomabile Emerson concludeva l’esecuzione salendo in piedi sull’organo e dando fuoco alla bandiera a stelle e strisce, secondo alcune fonti in segno di protesta verso la guerra condotta dagli USA in Viet Nam, secondo altre fonti senza particolari messaggi politici, ma come semplice trovata scenografica. E qui si conclude, tra le fiamme della bandiera americana, l’affascinante storia di questa innovativa band chiamata The Nice.

 

Lo scioglimento: verso Emerson Lake & Palmer

 

Nel 1971, a band ormai disciolta, uscirà un ennesima testimonianza dal vivo, intitolata “Elegy” e contenente solo quattro lunghissimi brani, due per ciascuna facciata: due intensissime versioni live della già citata Hang on… di Tim Hardin e di un ulteriore titolo del Nice_Elegyrepertorio dylaniano, My back pages, e sul Lato B la Pathetique di Tchaikovskij e America di Bernstein. Nel 1970, in cerca di nuovi stimoli e confronti musicali, Emerson fonderà la sua band più rappresentativa, i famosissimi Emerson Lake and Palmer; gli altri due componenti,emerson Jackson e Davison, si metteranno nelle mani di un altro istrionico e ipertecnico tastierista, Patrick Moraz, per pubblicare l’unico album a nome Refugee nel 1974. L’anno successivo, Moraz entrerà a far parte degli Yes per un solo album, “Relayer”. Lee Jackson, tra il 1970 e il 1973 formerà un bizzarro progetto molto “open”, i Jackson Heights, dal quale passeranno anche i king-crimsoniani Ian Wallace e Pete Giles, il batterista dei Deep Purple Ian Paice e persino lo stesso Emerson per qualche ospitata al Minimoog; Jackson è tuttora in attività come bluesman. Dopo la partecipazione con i Refugee, dei quali verrà pubblicato postumo, soltanto nel 2007, anche un concerto dal vivo del 1974, Brian Davison abbandonerà la musica, almeno a livello professionistico; la sua ultima apparizione sarà una sporadica rimpatriata con i cari vecchi Emerson e Jackson nel 2002 per un brevissimo tour di reunion a nome The Nice, dopodichè, il 15 aprile del 2008, a soli 65 anni, ci lascerà per sempre. Quasi effimera, quindi, la parabola di questo incredibile, straordinario trio (inizialmente un quartetto), che è esistito per soli tre anni, dalla fine del 1966 alla fine del 1969, ma in così poco tempo ha rivoluzionato il modo di concepire la musica e ha dato vita a quel fondamentale capitolo nella storia del rock che oggi viene identificato come “progressive”.  

 

Compilation del terzo millennio - di P.W.Boffoli  

 

nice immediateA chi non ha proprio nulla nella sua discografia dei Nice, o a chi li conosca poco e voglia approfondirli è consigliato prima di tutto l'elegante cofanetto di 3 CD  "Here come The Nice-The Immediate Anthology" (2000, Castle Music-Sanctuary Records) contenente all'interno ilnice bbc sessions consueto ed esauriente pieghevole cartaceo delle benemerite Castle/Sanctuary - etichette prodighe per eccellenza di recupero e ristampe di prezioso materiale musicale del passato - ricco di particolari storici e cronologici sulla band, a cura di David Wells. Nei primi due CD sono contenuti i primi tre lavori in studio integrali di Keith Emerson e c. e B sides, nel terzo dei demos/alternative version e live tracks mai pubblicate prima. Here come The Nice è descritto sul box come "il documento coverdefinitivo dei Nice, pionieri psych/prog dei tardi anni '60, e delle performances teatrali dell'organo di Keith Emerson". Interessante è il "Live at BBC" (2002, Castle Music Ltd.), con alcune rarità della band incise tra il 1967 ed il 1969: tra le più sfiziose ed insospettabili le rivisitazioni di Sombrero Sam (Charles Lloyd), Lumpy Gravy (Frank Zappa), Get To You (The Byrds) a testimonianza di una comprovata e sfaccettata ecletticità espressiva dei nostri. Un precedente, con brani in comune, c'era stato nel 1996, le "BBC Sessions: America" (Receiver Records (UK)/Receiver). Nel 2009 è invece uscito un nuovo documento live, "The Nice Live atnice smith The Fillmore East December 1969" (EMD Int'l/EMI)registrazione dei due concerti del 19 e 20 Dicembre 1969, di una band sulla soglia dello scioglimento, tenutosi due mesi dopo nice collectionquello immortalato in Five Bridges. La registrazione è ottima, vale la pena cercarlo ed ascoltarlo. Sempre del 2009 la ristampa di "Autumn 1967/Spring 1968", una collection dei primi brani incisi per la Immediate Records curata in origine da Tony Stratton-Smith, uscita per la prima volta nel 1972. Consigliato, tra le ristampe del terzo millennio, anche il CD  "Diary of An Empty Day-The Nice Collection" (2010, Repertoire), un buon compendio delle tre opere in studio.

 

Alberto Sgarlato - P.W.Boffoli

Video

Inizio pagina