Patrizia Oliva NUMEN – LIFE OF ELITRA LIPOZI
Italia
Patrizia Oliva, cantante, autrice, performer e musicista sperimentale improvvisativa. Raccorda le sue versatili capacità vocali con una serie di effetti elettronici, cut up e field recordings. Si autodefinisce ricercatrice di un’espressione cosciente di senso e di appartenenza al cosmo attraverso la sua opera artistica. Ha fatto parte di numerosi progetti (Allun, Camusi, Gravida, Gamra) e si è esibita in moltissime località del mondo vantando collaborazioni di rilievo e partecipazioni a festival ed eventi di grande prestigio. Tutto il suo percorso espressivo sembra rivolgersi e focalizzarsi all’atto performativo ed estemporaneo che si rivela dal vivo. In questo è possibile scorgere delle affinità concettuali con alcuni compositori contemporanei del secolo scorso che legarono l’improvvisazione, la gestualità, l’impiego di strumenti atipici compresa la voce umana. Si pensi a Nuove Forme Sonore, Prima Materia, agli studi di autori come Scelsi, Guaccero, Berio, Bussotti, Evangelisti e Macchi, al lavoro di Alvin Curran “Canti e Vedute del Giardino Magnetico”.
“Numen –Life of Elitra Lipozi” (uscito in cassetta per Staaltape nel 2016 in edizione limitatissima) è composto da due piece: Danse des Fantomes e A day long To, dedicate al celebre neurologo e scrittore inglese Oliver Sacks. Non sembra affatto casuale l’ideale celebrazione di una figura che ha incentrato i suoi lunghi studi all’impiego terapeutico della musica e alla capacità di quest’ultima di stimolare una ‘visione cerebrale’. L’effetto è straniante e magnetico. Una nebulosa psichedelica volubile e polimorfa. A tratti onirico, epilettico, contorto di ripetitività ossessive in un incedere convulso e visionario. A tratti liquido, minimale, rarefatto, di un lirismo fatto di fragilità e delicatezza. L’insieme è un riflesso della dualità del nostro inconscio, dell’altalenarsi degli stati d’animo, della sospensione che ci separa dall’abisso contenente le risposte a tutti gli interrogativi. Il fondo è distante e irraggiungibile e non si può che essere spettatori di una pioggia di lievissimi petali che trascinano il loro candore fino ad essere ingoiati e dispersi dalle tenebre.
I silenzi, i cambi ritmici, il dramma del respiro ansimante, le eco in dispersione, la magia del flauto bawu che come un soffio sinestetico ci rivela il prodigio di un risveglio contemplativo. Tutto tesse le trame di una rappresentazione in cui il pathos e il suono sono respiro e membrana, battito smarrito che si riveste di vita e di anelito. Nel lugubre rimbombo della perdizione c’è l’urlo primordiale dell’umano che si dà speranza contemplando nuove albe. Nel caos e nel divenire di tutte le cose il gemito caldo del ritmo sussurrato ci calma e ci rassicura e niente è più musicalmente perfetto e vero.
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