Jack Thunder Band WHAT THE THUNDER SAID
Alba degli anni ’70. Una vecchia Cadillac sfreccia sulla Route 66. Nessuna meta. L’importante è andare diceva Kerouac. Dove non ha importanza. Colonna sonora perfetta per queste immagini sgranate che scorrono nella nostra mente è “What The Thunder Said” della Jack Thunder Band. Nata nel 2004 la band lombarda ci regala un album, il secondo, denso di suggestioni on the road che richiamano alla mente il più puro suono rock nordamericano. Rolling Thunder ci avvolge e travolge con il suo mood in limpido stile Allman Brothers Band rivelando, sin dal primo solco, la bravura e il talento del combo di Vanzaghello. Stefano Brusatori (batteria e percussioni), Andrea Merlo (backing vocals, slide, chitarre acustiche ed elettriche, banjo e armonica), Dario Simontacchi (chitarra elettrica e mandolino), Paolo Brunini (voce e basso) maneggiano con maestria e genuina passione i canoni del rock/blues d’Oltreoceano, guidando l’ascoltatore in un viaggio musicale ed emozionale che con These Hands Of Mine evoca il Neil Young di alcune tracce di “Old Ways” o del supremo “After The Gold Rush”.
Davvero pregevole il lavoro alle chitarre di Dario e Andrea anche se è il gruppo nel suo insieme a convincere appieno. Prove ne siano il superbo blues di The Great Train Robbery e la quasi doorsiana Into The Flow. Echi di “Riders On The Storm” si fondono meravigliosamente con l’afflato acido di Jerry Garcia e dei suoi Grateful Dead. Intensa l’interpretazione vocale di Paolo. Workingman Blues ci porta sui sentieri dell’immortale “Mystery Train” di Elvisiana memoria mentre il banjo e la slide di Song For Charlie spinge il ricordo a certe performances acustiche zeppeliniane della prima metà degli anni ’70.
Non si tratta propriamente di un concept album, ma l’idea del viaggio inteso come ardua, ma necessaria ricerca di se stessi domina l’intero lavoro. Lo scorrere del fiume, il Panta Rei che fu di Eraclito, il concetto di Eterno Ritorno che fu di Nietzsche, scivola leggero ed al tempo stesso possente fra le note di questo splendido disco che si chiude alla grande con la quasi celtica celebrazione del sangue del cervo ucciso per raccoglierne le lacrime nella struggente The Deer. Morte e resurrezione. Peccato e purificazione. E l’anima rinasce nella speranza contenuta nei versi e nelle armonie di When This Song Is Over . Registrato, missato e masterizzato magnificamente da Lorenzo Testa e Guido Domingo allo Studio Decibel di Busto Arsizio questo disco affascina e trascina dalla prima all’ultima nota. Ottimo anche il contributo fotografico di Max Landini e l’Artwork di Silvano Ancellotti. Un grande disco. Bravi.
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