Full Vacuum Arkestra DÌA-LUZ
È da qualche tempo che in Italia sembra essere severamente proibito esporsi al pubblico spazio musicale indossando un solo vestito. È così che, a ben vedere ovviamente, con diversi risultati e diverso talento, molti esordi dei nativi italici tra il 2015 e il 2016 hanno fatto dell'eclettismo di generi e suoni un totem intorno al quale giocare ogni evocazione delle forze oscure della melodia. Non sfugge a questa rincorsa con un ventennio di ritardo del postmoderno questo “Dìa-Luz” dei Full Vacuum Arkestra guidati da Davide Barca - illustratore poeta musicista e ispiratore primo del progetto che già fu Full Vacuum.
Le 9 tracce in cui il disco si articola sono costruite per essere associate ad una specifica ora della giornata (“Dìa Luz” appunto) e tessono così 41 minuti di musica sghemba in bilico tra blues, reggae, world music e ammiccamenti cantautoriali come in Mille Volte. Da segnalare in apertura la tensione etnica di Mosca Nera solo apparentemente scanzonata, in verità attraversata da una possente vena nostalgica che rapisce l’ascoltatore e lo istiga al ricordo; allo stesso modo va segnalato, perché attraversata dalla stessa nostalgia, ma con un risultato meno netto e più dozzinale, il latin rock di Arrivederci e Grazie. Full Vacuum Arkestra dimostra tuttavia di avere doti notevoli che si manifestano massimamente in una certa speciale sensibilità armonica molto raffinata (Assai) e in una certa facilità nella scrittura evocativa o, come consiglia il manuale del piccolo recensore, psichedelica.
“Dìa-Luz” è una sintesi magistrale al tempo stesso della potenza della poesia e della sua miseria allorquando la poeticità diviene il dovere dell'artista. Non guardare giù è la giusta manifestazione di questa potenza gioiosa del linguaggio, ma anche il suo rischio più profondo, vale a dire la poesia come regime politico.
Video →
Commenti →