Drifting Mines COMEBACK
Di roba in questo secondo album (terzo documento sonoro) dei romani Drifting Mines (Adalberto “Hell Rey” Correale: voce e chitarra; Andrea Di Giampietro: tastiere; Carlo Moscatelli: batteria), “Comeback”, ve n’è parecchia. Garage-punk, rock’n’roll, spaghetti-western di morriconiana matrice, non senza una punta di psichedelia doorsiana e scorribande nei territori impervi del desert-rock americano. Registrato in appena sei ore, in presa diretta, nei Backstage Studios di Roma, l’album suona sufficientemente selvaggio. Spitfire Boogie, traccia che fa da ouverture, fissa già il manifesto programmatico della band: una scarica punk-oriented di adrenalici suoni, ruvidi e imbevuti di vetriolo. E anche quando il mood si fa più variegato, nelle tracce successive, la sensazione di sonorità allo stato brado non viene meno. La desertica Garden Of Evil, ad esempio, ne è attendibile testimonianza: un approccio chitarristico da ballata maledetta, che ricorda, non proprio vagamente, linee di ascendenza prossime ai Thin White Rope di Astronomy. L’album sconta una certa ingenuità d’insieme laddove si connota come troppo derivativo nei confronti di talune sonorità di riferimento (la già citata Garden Of Evil, la tirata à la ZZ Top-La Grange di Like A Driftin’ Mine, la pur intrigante western-track, con tanto di pistole in rilievo, di The Gunfighters Comeback); mentre appare decisamente più pregnante e incisivo in quei brani che si discostano da certi stereotipi musicali, attingendo a un notevole livello di originalità espressiva (le atmosfere di pura devianza rock di The Conjuration, o, meglio ancora, la venefica danza tribale di Adoradores Del Dios Serpiente). Un buon disco, tuttavia, pieno di idee, in un momento in cui a latitare nel gramo panorama del rock italiano sono proprio queste ultime. La sensazione è che una volta liberatosi del peso eccessivo degli ingombranti modelli di riferimento il suono dei Drifting Mines non possa che trarne giovamento e raggiungere la piena maturità stilistica.
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