Warpaint WARPAINT
[Uscita: 20/01/2014]
Quattro anni, è il tempo che ha richiesto il nuovo secondo lavoro delle losangeline Warpaint, seguito del successo di hype che fu “The Fool” e che, coraggiosamente, hanno deciso di intitolare con il loro stesso nome non tanto in maniera autocelebrativa quanto, probabilmente, sinonimo di una sorta di restart per un pubblico più vasto. Le quattro californiane hanno abbandonato Los Angeles per andare nel deserto nelle vicinanze di Joshua Tree avvalendosi della produzione di Flood (Mark Ellis, già produttore di Depeche Mode, U2, Nick Cave & The Bad Seeds, Smashing Pumpkins, PJ harvey e anche il nostro Lucio Battisti) e del mixaggio di Nigel Godrich, segno del salto in avanti che le ragazze, almeno a livello produttivo, hanno voluto fare. Anche a livello visivo, complice il lavoro sulla copertina del regista Chris Cunningham (autore dei videoclips di gente come Aphex Twins , Placebo, Björk e Madonna, nonché compagno della bassista del gruppo Jenny Lee Lindberg). Certo, il filo conduttore resta molto legato al primo lavoro, c’è quella sensazione di vivere un’esperienza immersiva in quello che è un sogno ad occhi aperti, una realtà ovattata, fatta di sussurri e malinconiche oscurità. Ci sono le variazioni che ci riportano al trip-hop di stampo bristoliano come nell’ipnotica Hi, le linee di basso ed una batteria tribalmente accennata in Go in, le incursioni folk di Teese e la conclusiva So, il ritmo sincopato di Biggy, mentre la divagazione dance già chiara nel titolo, Disco/Very ci catapulta in una versione ripulita di un disco di M.I.A, così come il basso inquietante di CC è una perfetta colonna sonora di un risveglio sudato dopo un brutto incubo.
Rimangono però, in generale, intatti l’approccio scheletrico delle strutture melodiche, le chitarre quasi sussurrate rispetto ad una batteria ed un basso che ora riempiono ancora di più gli spazi, sintomo forse di un gruppo che sapendo di avanzare verso un audience maggiore che le porterà a suonare in locations più ampie, sta strutturando il suo suono proprio in funzione di performace live di maggiore impatto. La sensazione è che nonostante la produzione di livello, le nostre sapessero esattamente cosa volevano e non si siano lasciate influenzare più di tanto dai collaboratori che si sono scelti se non, probabilmente, per tirare fuori al meglio il suono che cercavano. Il sentiero è quello di un dream-pop con incroci trip-hop tra i Massive Attack di “Mezzanine” ed i Cocteau Twins di “Heaven on las Vegas”, connotato dalle voci sussurrate e melliflue di Emily Kokal e Theresa Wyman. Il punto sicuramente più alto è il primo singolo scelto Love is to die sicura possibile hit da dancefloor e radiofonica anche in un paese come il nostro se il disco fosse uscito per una major e con la dovuta spinta di marketing. A distanza di quattro anni quindi, un lavoro che per quanto bello nel suo insieme, non sembra segnare un passo avanti nella crescita del gruppo se non, almeno queste sono le aspettative, nella base di ascolto che pare destinata a crescere ben oltre coloro che seguono tutti i nuovi gruppi indie alla ricerca della “Next Big Thing”, perché per questo probabilmente è passato troppo tempo, ma alle Warpaint non sembra poi interessare più di tanto.
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