Current 93 THE LIGHT IS LEAVING US ALL
[Uscita: 13/10/2018]
Malesia-Inghilterra #consigliatodadistorsioni
Dar conto delle innumerevoli coordinate sonore e ideologiche dei Current 93 del negromante nato malesiano David Tibet, lungo i trentasei anni della loro esistenza, è impresa quantomeno ardua. Metà stregone e metà profeta, poeta ed epistemologo della sopravveniente Apocalisse, epigono del ‘sacerdote’ maledetto Aleister Crowley, fondatore dell’abbazia di Thelema, moderno Cagliostro che sconvolse con la sua follia mistico-visionaria la società a cavallo tra i secoli XIX e XX, Mr. Tibet sembra ora giunto alle soglie di quella fine del mondo da lui tanto invocata e cercata con mistico furore. Unico membro fisso del progetto Current 93, che pure ha visto negli anni coadiuvarlo personaggi del calibro di Douglas P. dei Death In June, Steven Stapleton dei Nurse With Wound, tuttora presente, una giovanissima Bjork, il compianto John Balance dei leggendari Coil, Rose McDowall, solo per citarne alcuni, David licenzia per i tipi della Spheres l’ennesimo tassello della sua inquietante discografia: “The Light Is Leaving Us All”.
Dopo esser passato attraverso la lente ustoria di svariati generi musicali, dal dark-industrial al folk apocalittico, dal prog sperimentale al rock gotico, Tibet approda a un rassegnato incrocio di crepuscolarismo sonoro e devastato post-folk di matrice ‘lautreamontiana’. Surrealismo volto al nero primordiale, dove ogni luce dilegua rilasciando tracce di sangue sacrificale. Il recitar-cantato del leader insegue spettri interiori, ologrammi di incubi notturnamente concepiti, spaziando da suggestioni indotte da rimandi alla cultura buddhista, alle pazze profezie di Crowley, sopra un tappeto di mera disperazione sonica, a base di violini che gemono entro il gelido velo di eterne solitudini, tastiere che lacrimano note sopra le abissali e incurabili ferite dell’Io, cinguettii di uccelli un attimo prima di bruciare in volo. Brani come The Birds Are Sweetly Singing o Bright Dead Star, dove accordi ancestrali di chitarra rinviano a scenari idilliaci prima dell’Apocalisse ineluttabile, rendono già pienamente il senso dell’album. Così come le atmosfere bucoliche di The Bench And The Fetch preludono allo spezzarsi dell’incanto, con la voce dolente di Tibet che vi fa da sfondo sciamanico. I violini contorti e brucianti di The Kettle’s On preparano il salto mortale nel vuoto siderale, mentre come una pietra tombale l’oscurità sonora di The Milkmaid Sings suggella un disco che, seppur a tratti possa suonare monocorde, offre spunti di oscura bellezza agli aficionados del bardo David Tibet. Per quanto appaia vero che, sulla scia del titolo, la luce sta abbandonando tutti noi, lasciandoci soli nel buio universale di una stanza senza porte né finestre.
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