AA. VV. The Journey is long: The Jeffrey Lee Pierce sessions project
[Uscita: 30/03/2012]
# Vivamente consigliato da DISTORSIONI
Funziona come le “Desert Sessions”: un pugno di amici che si fa le pugnette. Solo che stavolta il progetto ruota attorno alla figura di Jeffrey Lee Pierce. “The Journey is long “ è la seconda stazione ("We are only riders" la prima, del 2009) di questa via crucis che porta a spasso l’ effige di Jeffrey Lee. In processione sfilano gli stessi nomi della prima fermata, più o meno. Mancano i Raveonettes e i Sadies ad esempio ma abbiamo in aggiunta gli Amber Lights o le pantere di Tav Falco, non c’ è più l’ ex UDS Tres Manos ma c’ è Thalia Zedek dei Come, manca Johnny Dowd ma c’ è il supplente Tex Perkins dei Beasts of Bourbon. Per il resto, i protagonisti principali ci sono tutti: gli ultimi amici di Jeffrey Lee Cypress Grove e Willie Love ovviamente, poi Nick Cave e gran parte dei suoi Bad Seeds, Mark Lanegan, Isobel Campbell, Debbie Harry e Chris Stein, Lydia Lunch, Spencer P. Jones. Ah, e Jeffrey Lee Pierce in spirito ma non solo.
Come avveniva sul primo volume è infatti spesso sui suoi ultimi riff che è stata “ricostruita” una parte delle canzoni presenti. E’ il caso della funkeggiante City in pain, della The Breaking Hands cantata da Lanegan & Campbell, dalla From death to Texas interpretata da Steve Wynn, della In my room affidata alle voci di Tex Perkins e Lydia Lunch. Chi volesse cercare qui dentro i Gun Club però, sappia che li troverà solo nell’ ultimo minuto della The Jungle Book vestita dagli Amber Lights dove, come per magia, la voce di Kip Mowgli si trasforma in quella del Pierce che tutti abbiamo amato. E chi volesse trovare il Jeffrey Lee Pierce ubriaco di blues dell’ ultimo disco solista lo incontrerà nella L.A. County Blues che Cypress Grove rende rispettando più la versione solitaria che l’ amico si portò in giro tra l’ Olanda e Venezia nella primavera del ’92 che quella provata in coppia e mai pubblicata se non anni dopo sulla ristampa del loro disco, così come nella I ‘m going upstairs registrata da Hugo Race in compagnia del brillante dobro di Hellhound Brown.
Per il resto ognuno cerca di fare propri questi scampoli trovati sepolti tra i cassetti di casa dall’ amico Cypress Grove adattandoli alla propria cifra stilistica (e così ecco il Nick Cave curvo sul piano ad accompagnare la musa di Jeffrey Deborah Harry, Jim Jones appiccare il fuoco della sua Revue ad Ain ‘t my problem baby, Thalia Zedek coprire di flanella grunge Zonar Roze o i Vertical Smile di Youth dei Killing Joke rivestire di lacca sleale Book of love), oppure immaginando come avrebbe potuto trasformarli Jeffrey Lee se solo avesse avuto tempo di poter elaborare questi spermatozoi musicali fino a vederli crescere come lui sognava, in quegli ultimi anni dove il suo orologio si stava spaccando in due andando sempre più indietro alla ricerca del blues rurale e sempre più avanti verso le nuove contaminazioni con l’ hip-hop e il groove urbano delle metropoli moderne.
Chissà se From Death to Texas e I wanna be you avrebbero suonato così sfrontate fino a sfiorare la cupidigia scintillante dei Black Grape di It ‘s great when you ‘re straight o degli U2 di Zooropa come nelle versioni di Wynn e Barry Adamson, oppure se City in pain avrebbe avuto questo taglio alla Pino Daniele che le ha riservato Nick Cave in apertura di disco e chi lo sa cosa ne avrebbe pensato Jeffrey Lee di una Body and Soul così intrinsecamente inglese come quella dipinta da Kris Needs e dalla di lui moglie Michelle. Lui che durante il suo periodo londinese aveva inseguito il sogno di coprire di tinte nuove le corde arrugginite della sua chitarra. Nessuno lo saprà mai. Perché il viaggio è lungo ma qualcuno è già sceso dal treno qualche stazione fa con la sua valigia di dolore e una chitarra sulle spalle, lasciandoci smarriti su un vagone affollato, lungo l’ american railway.
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