Mogwai The Bad Fire
[Uscita: 24/01/2025]
L’undicesimo album in studio dei Mogwai vede la luce coi crismi della coazione a ripetere, di schemi sonori e atmosfere, che li ha resi giustamente gli alfieri più rimarchevoli del post-rock degli ultimi lustri. La band scozzese si situa, infatti, tra quelle realtà che rappresentano, ormai, una certezza inconcussa nel panorama musicale mondiale, difficilmente superabili in quanto a coerenza stilistica, incisività dei contenuti e maestria esecutiva e tecnica. “The Bad Fire”, infatti, uscito a quattro anni di distanza dall’ottimo “As The Love Continues”, riesce a combinare in modo virtuoso, ancora una volta, elementi sperimentali, tratti dal migliore background dark ambient, e freschezza synth-pop recata ai massimi livelli. Sin dall’incipit, il gruppo magistralmente guidato da Stuart Braithwaite, fornisce le coordinate sonore dell’opera senza il minimo tentennamento, con la brillante traccia di God Get You Back, classico emblema del suono targato Mogwai: variegato tappeto strumentale su cui s’innesta una lieve spuma vocale che ne infiora l’ordito. Sempre la commistione tra ritmi diversi all’interno dello stesso contesto, connota gran parte dei brani dell’album, dalle quiete note iniziali con successivo feedback di chitarra di Hi Chaos, alle morbide atmosfere di What Kind Of Mix Is This?, intarsiate nella seconda parte dal consueto sovrastante muro chitarristico. Alla migliore tradizione del synth-pop si ascrive, poi, la gradevole Fanzine Made Of Flesh, mentre la successiva Pale Vegan Hip Pain riporta il timone su atmosfere di quieta dimensione meditativa. If You Find This World Bad, You Should See Some Of The Others si apre con un morbido arpeggio di chitarra, prima di dipanarsi lungo sentieri più frastagliati, con riff graffianti e dal taglio industrial, facendo da preludio alla suggestiva trama sonora di 18 Volcanoes, voce sericamente modulata cui subentra un flusso di note distorte a far da contraltare. Hammer Room recupera gli stilemi dell’anima più rock della band britannica, con ficcanti note di chitarra in distorsione, mentre Lion Rumpus si apre con un frammento di spoken word, prima che la combinazione tra percussioni e chitarre caustiche prenda il predominio, aprendo la scia alla traccia finale, Fact Boy, dal sapore ambient-pop, splendida epitome di un album di pregevole fattura, che, sebbene ripeta gli stilemi consolidati della band, si connota come esempio di superba produzione artistica.
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