Stornoway TALES FROM TERRA FIRMA
[Uscita: 11/03/2013]
In un periodo in cui il cosiddetto Indie-Folk vede gruppi come Mumford & Sons e The Lumineers godere di una certa popolarità anche in casa nostra, mi domando come invece un gruppo come gli Stornoway non attirino la medesima attenzione, se non all’interno dei confini della loro amata isola britannica. Sì perché se è vero che al gruppo di Oxford ci sono voluti tre anni per dare seguito all’acclamato esordio d “Beachcomber’s windowsill” non vi è dubbio alcuno che le capacità di scrittura del duo Briggs e Ouin sono maturate parecchio in questo secondo lavoro arrivando a parlarci di nascita, maturità, matrimonio, morte in un naturale viaggio fuori e dentro di noi. “Tales from Terra Firma”, concepito in un camper ed autoprodotto in un garage, ci trasporta nella romantica esplorazione di nuove terre con lo sguardo entusiasta di chi è alla ricerca di avventure ed emozioni come traspare anche dalla bella copertina del disco, ispirata ai racconti di Antoine de Saint- Exupery.
In questo disco la band fa un salto in avanti rispetto all’esordio anche a livello strumentale con orchestrazioni più sofisticate, come l’atmosfera bandistica di The great procrastinator che ci trasporta in una fiera di paese degli anni ’30 tra tiri al bersaglio, mangiafuoco e l’immancabile giostra della vita che ci porta a guardarci dentro seppur con allegria. Ci sono le atmosfere più sofisticatamente pop di Farewell Apalachia che vi riporteranno agli anni ’70 di gruppi come Supertramp e Fleetwood Mac ed il ritmo jazzy di Hook, line, sinker unico episodio che sconfina in una certa sperimentazione di stampo elettronico, c’è il brano stand out (non a caso scelto come primo singolo) Knock me on the head che, con un inizio in stile western, mescola chitarre acustiche ad organi hammond ed un coro che ti entra subito in testa, l’atmosfera sognante di The ones we hurt the most, a mio avviso l’episodio migliore del disco e c’è la bellissima conclusione country acustica di November song di Younghiana memoria.
Se una critica possiamo muovere a questo disco è che certo, tre anni per comporre nove canzoni sono forse un po’ troppi, ma si sente in questo lavoro l’assenza di ansia da prestazione per il secondo disco, e se da una parte manca magari l’immediatezza di brani come Zorbing dall’altra proprio l’assenza del classico Hey! cantato all’unisono all’inizio di ogni ritornello rende questo lavoro degno di nota e capace di muoversi tra le tracce senza farci addormentare alla quarta o quinta canzone come capita con altri dischi di genere. Se siete alla ricerca di chitarre deraglianti e hype indie-alternative state lontani da questo disco; la colonna sonora ideale non potrebbe che essere questa invece, se le vostre prossime vacanze le doveste passare sull’isola di Lewis (dove troverete la ridente cittadina di Stornoway da cui la band prende il nome): imprecherete perché piove tutto il giorno anche ad agosto - vedere le previsioni del tempo della BBC per credere - ma poi vi scalderete le ossa in un pub con un ottimo whiskey, ridendo con amici mentre giocate a freccette. All’improvviso, ascoltando le canzoni degli Stornoway, vi passerà per la testa che la vita è bella anche per le sue cose semplici.
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