Guided By Voices SPACE GUN
[Uscita: 23/03/2018]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Sulla prolificità discografica di Bob Pollard e creature correlate non è il caso di soffermarsi troppo. Basti dire che il forsennato artista americano ha composto circa un migliaio di brani e un centinaio di opere sulla lunga distanza. Pleonastico aggiungere che la sua filiazione più autorevole sia rappresentata dal progetto Guided By Voices. Dopo il frammento sonoro di "Please Be Honest", del 2016, riecco il prode Pollard con la sua macchina prediletta, affiancato alle chitarre da Doug Gillard e Bobby Bare Jr., da Mark Shue al basso e Kevin March alla batteria, con un nuovo album, “Space Gun”. Quindici brevi schegge di puro e incendiario indie-rock, con una voce come bagnata in soluzioni di soda caustica e strumenti appena estratti da pozze di bitume ancora liquido. Un suono aspro e tagliente come uno spuntone di roccia arroventato.
Un’alternanza virtuosa di ritmi ora tarantolati ora di mero deliquio sonico da ballata lisergica, a partire dall’iniziale traccia eponima, Space Gun, un venefico ricamo chitarristico che prelude alla voce ispirata del leader, con sottofondo di rumore ben modulato. Frammenti di uno, due, tre minuti che screziano di fiammeggiante scrittura rock il pentagramma scorticato della composizione ‘pollardiana’. Non mancano momenti di puro abbandono lirico (King Flute, Ark Technician, That’s Good) nei quali la rudezza d’insieme dell’impianto sonoro cede il passo a quiete ballate venate di sottile psichedelia. Il tenore complessivo dell’album, tuttavia, vira verso atmosfere infuocate: See My Field, ad esempio, è un segmento musicale temprato nel fuoco sacro del rock più impervio; così come Blink Blank appartiene al novero dei suoni di polverose strade senza uscita, tanto è ruvida la tela di cui si compone; Daily Get Ups batte il tempo dei fulmini che squarciano il cielo durante virulenti temporali estivi. Potente e impetuosa la traccia di Grey Spat Matters spazza via ogni residuo di romanticismo musicale come con artigli d’acciaio affondati nella carne, nel suo minuto e mezzo di respiro al vetriolo. La scia finale di Evolution Circus disegna come in un immaginario sismografo le linee profonde del rock più autentico e selvaggio. Superbo.
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