Adriano Zanni Songs To The Sirens
[Uscita: 20/11/2020]
Non è la prima volta che Adriano Zanni lascia trapelare nei suoi lavori l'influenza esercitata su di lui dal cinema di Michelangelo Antonioni. In particolare si evidenzia la grande barriera esistente tra la fragilità umana, intesa come vulnerabilità di ogni persona costretta a fare i conti con la complessità delle proprie emozioni e con i contrasti del proprio sentire e l'ambiente circostante, ovvero la natura, ma anche il paesaggio urbano edificato dalla società e in grado di rifletterne i limiti, le contraddizioni. In questo "Songs To The Sirens" si mette a raffronto lo sguardo dell'uomo sul mare. Tutto è in funzione e a misura dello stato d'animo di chi contempla la vastità nella consapevolezza della propria piccolezza. Ne emerge un affresco di grande lirismo, capace di elevare e rendere poetico colui che guarda con gli occhi e con il cuore ciò che è imperturbabile, ciò che respira all'infinito portando su di sé i segreti del tempo. Zanni accompagna i sette pezzi con un libretto di sue fotografie, seguendo in questo un percorso narrativo ideale, per molti versi concatenato, che consiste in una specie di esplorazione dello stupore. Una modalità di abbattimento del silenzio. Si ricordano tra gli altri, sempre corredati dall'associazione musica/visione : "Piallassa (Red Desert Chronicles)" con lo pseudonimo Punck (Boring Machines, 2008); "Soundtrack For Falling Trees" (Bronson Recordings, 2017); "Passato, Presente, Nessun Futuro" (Under My Bed, 2020). Le sue foto, nelle sue ultime esplorazioni, sono assolutamente prive di colori, il contrasto cromatico si evidenzia unicamente nel bianco e nero sfumato da ombre, riflessi, densità e messa a fuoco dei soggetti immortalati. E in questo "Songs To The Sirens" si racconta una incomunicabilità che assolve il più debole e ce lo fa prediligere per la propria umiltà e reverenza. Il distacco è evidenziato dall'impossibilità di comprendere che si fa disarmante. E le acque scure, marmoree, prive di trasparenza sono anelito sacrale destinato a rimanere precluso. Proprio questa barriera, questo sigillo impietoso e inesorabile mette in evidenza la bellezza del desiderio, la purezza del percepire e intravedere l'oltre da sé. Febbraio, La Mattina Perfetta oppone la ripetizione della risacca, il sibilo elettronico di sottofondo a micro variazioni del volume e dell'intensità del drone, come se questi fossero in qualche modo scanditi da un respiro di smarrimento e incanto. Anche i particolari focus sulle acque increspate, lacerate da fiotti di schiuma sono una trasfigurazione del gioco rigidità/fluidità, liquidità solidità. Il mare ha delle inquadrature anomale, a tratti sembra una scultura, un amalgama consolidato. La sua durezza diventa metafora di insondabilità. Non sta mai fermo allude proprio alla frase di Giuliana nel film "Deserto Rosso". In questo caso la frequenza elettronica è più morbida e ovattata e lascia arrivare il rumore dell'onda che in lontananza si distende sulla battigia, in dispersione. L'instabilità, la perenne agitazione è quindi solidale con il tormento interiore destinato ad accompagnare l'esistenza. Può farsi intermediazione. Anche in Facevo Del Mio Meglio per sorridere si rimanda al racconto di Giuliana, il gorgoglio del mare mentre si incunea negli anfratti, incide tracce come su carne viva di memoria, come riconciliazione, culla amniotica, ritorno all'innocenza, riappropriazione del perduto. Ma se l'intraducibile voce del mare potesse invece caricarsi delle nostre voci inconsce, del nostro inesprimibile? In tanto ignoto ripetersi, mai uguale a se stesso, si potrebbe cogliere una musicalità rivelatrice, il canto delle sirene. I nostri sogni, la nostra capacità di fuggire la realtà con l'immaginazione, Forse Era Un Sogno. Gli occhi interiori possono andare al di là di ciò che è imposto crudelmente a quelli fisici, questi ultimi incapaci di superare la linea dell'orizzonte. Verso II Mare Aperto è l'abbandono e la resa, la dimensione delle sirene.
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