Secret Affair SOHO DREAMS
[Uscita: 17/10/2012]
Tra la fine degli anni ’70 del secondo millennio e gli inizi ’80, l’Inghilterra fu teatro del primo Mod Music & Culture Revival, sull’onda lunga provocata dai primi tre album di The Jam, usciti tra il 1977 ed il 1979 in piena esplosione punk, ibridi – soprattutto “In The City” del 1977 – tra urgenza punk ed energia mod. Molti furono i validi documenti sonori di quella febbrile stagione a cavallo di due decenni, e le bands nate per conservare e rinnovare la gloriosa tradizione sixties mod, che aveva avuto negli Who e negli Small Faces i massimi interpreti di una mai troppo benedetta ribellione giovanile proletaria e borghese. Vogliamo ricordarne i protagonisti principali, anche per chi allora era troppo piccolo e volesse recuperarne qualche gemma: i Chords di “So Far Away” (1980), i Merton Parkas di “Face in the Crowd” (1979), The Lambrettas, i Purple Hearts di “Beat That! “ (1980) e naturalmente i Secret Affair, forse i più carismatici, certamente i più prolifici, con tre album usciti tra il 1979 ed il 1982 prima di un lunghissimo intervallo artistico durato trent’anni, sino a questo nuovo lavoro.
“Soho Dreams”, esce per la loro label storica I-SPY Records ed è distribuito in Italia dalla validissima e provvidenziale Area Pirata, responsabile negli ultimi anni di operazioni musicali sul territorio nazionale di squisita qualità, nonché di recuperi – ristampe quanto mai opportuni di materiali rock garage stagionati. “Glory Boys”, uscito nel 1979, fu il migliore lavoro dei Secret Affair, devoto sì al vangelo della Tamla Motown ed al british beat, come da stretta fede mod, ma prodotto soprattutto dell’estro artistico e compositivo del binomio Ian Page (vocals, trumpet, piano, organ) e Dave Cairns (guitar, backing vocals), che trent’anni dopo ritroviamo, inattaccabile ed imperituro, in “Soho Dreams”, insieme ad un nutrito stuolo di collaboratori: quattro fiati ed un hammond organ, oltre una doppia sezione ritmica.
Ci siamo avvicinati a questo insperato ritorno forse con eccessive speranze, o forse con la testa ed il cuore ancora fermi agli splendori di tanti anni fa, senza quell’obiettività necessaria per giudicare la nuova opera di musicisti ormai maturi, fatalmente e fisiologicamente non più in possesso dell’ anfetaminica ed irruenta energia (mod) giovanile che li aveva resi celebri. Intendiamoci: “Soho Dreams” è disco maturo, solido e ben centrato, sia grazie alla produzione nitida e corposa di Ian Page – che conserva a tutt’oggi una voce chiara e potente – che alle performances strumentali di tutti, davvero eccellenti: nel corpo dei brani c’è un magico equilibrio tra i fiati potenti, l’hammond organ di Andy Fairclough, i keyboards di Page, ed i fendenti epici delle chitarre di Dave Cairns.
Ed è anche vero - come qualcuno ha già scritto e riflettendoci su - che in qualche episodio (In Our Time e Turn Me On soprattutto) si annusano nelle dinamiche e nei risvolti compositivi sentori di opere mod seminali quali “Quadrophenia” degli Who, ma giudicandolo da un punto di vista strettamente tecnico-musicale “Soho Dreams” in generale soffre di una iper-produzione, di un suono a tratti eccessivamente ‘leccato’ e lezioso (Walk Away, Soho Dreams, Land Of Hope) e di idee melodiche a volte non proprio felici (Walk Away) se non svenevoli (Love’s Unkind) che sconfinano, come purtroppo anche qualche performance vocale di Ian Page, in mood di band del tutto estranee, ieri come oggi, all’immaginario dei Secret Affair, quali - tenetevi forti - gli Spandau Ballet. Turn Me On invece fortunatamente rimane in famiglia: il suo riff chitarristico principale è identico sputato a quello dell’indimenticato inno mod-punk I’m A Man di Joe Jackson.
A risollevare le sorti del disco ci pensa una bella cover, anche se troppo lunga (sei minuti) e pretenziosa, del classico soul I Don’t Need No Doctor (Armstead/Ashford/Simpson), interpretato in passato anche da Ray Charles e dagli Humble Pie di Steve Marriott. Ma a risplendere di luce abbagliante sono soprattutto alcuni brani della seconda parte del disco, la migliore: la già citata ed ispirata In Our time, la sanguigna All The Rage, la chiaroscurale Soul Of The City e la eccezionale song finale Ride, sei minuti di concitato funk negroide, come nella più pura tradizione mod, un trionfo di fiati e di wah-wah guitar, in odore di Curtis Mayfield/blaxploitation, o se preferite di scuola Stax, o ancora di “The Gift” (1982), il capolavoro rhythm’n’blues/funk dei Jam di fine carriera. Tirando le somme, a caldo, il giudizio finale di “Soho Dreams” rimane a metà strada, in un limbo: chissà se successivi ascolti sapranno risolvere le perplessità materializzatesi.
Tracklist
o1 Soho Dreams
02. Walk Away
03. Turn Me On
04. Love’s Unkind
05. I Don’t Need No Doctor
06. Lotus Dream
07. In Our Time
08. Land of Hope
09. All the rage
10. Soul of the City
11. Ride
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