Zola Jesus OKOVI
[Uscita: 08/09/2017]
Stati Uniti-Russia
Come se niente fosse Nika Roza Danilova, la donna in cui si incarna Zola Jesus, cancella i sentieri che avevano portato alle sonorità stinte di “Taiga”, ma anche a una audace scrittura meticcia, per poter ricomparire nel suo passato prossimo. “Okovi” è l’epifania di “Stridulum II”, un viaggio con il futuro alle spalle nel quale è facile imbattersi in rimuginazioni ossessive e in qualche rimpianto sonoro. La maturità per ZJ è, come il passato, una terra straniera nella quale, come ci suggerisce da qualche decennio Hartley, avvengono cose strane e non decifrabili. Ecco allora che la chiave della maturità di Zola Jesus è la sua acerbità aperta su un potenziale ancora non totalmente espresso. E come per gli esordi promettenti la propria soggettività va limitata nel dialogo con i propri punti di riferimento in bella mostra a puntellare i confini di un nuovo mondo.
Björk, certo, tanto eminente da trasformarsi quasi in un tratto della personalità, potremmo dire, della nostra russo-americana che addirittura si fa spavalda quando i bpm diminuiscono e la difficoltà aumenta; Björk, si diceva, è una costante che tallona ogni secondo di questo Okovi e che di volta in volta si affianca ad altri compagni di strada. I nomi sono noti e facilmente individuabili: Dead Can Dance e Siouxie (Siphon), Einstürzende Neubauten (Exhumed) e Cocteau Twin (Doma). Disseminato qui è là compare anche qualche elemento di gothic trance che lascia la sua traccia più sensibile nella intrigante dozzinalità di Remains. Ma le perle vanno cercate altrove, nella superlativa prova tecnica ed emotiva fornita da ZJ in Ash to Bone, una sorte di epitome di ogni registro vocale in salsa pop struggente.
Bisogna mantenere il necessario distacco nell’ascolto delle creature di Zola Jesus, progettate per avvolgere nelle spire della malia dell’eterno ritorno anche le orecchie più disincantate. Ogni singolo brano si sporge infatti su un precipizio nel quale si apre un nuovo precipizio e così all’infinito; niente di nuovo, ma questo è a sua volta un abisso che risucchia. L’esperienza simil-Major sembrava aver fatto scomparire il talento forsennato dell’artista nei meandri del calcolo, del mainstream zoppo di “Taiga”. E invece eccola qui a raccontarci ancora una volta cosa voglia dire darkwave, a dare alla malinconia un colore acido. Okovi è un album difficile e immediato al tempo stesso, un album che non si lascia declinare univocamente lasciando che la potenza non si esaurisca mai in una singola espressione ma possa essere colta in se stessa. Un po’ come i bambini prima della prima parola in grado di articolare tutte le lingue del mondo.
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