Gonjasufi MU.ZZ.LE
[Uscita: 23/01/2012]
Venticinque minuti. È la durata di questo nuovo lavoro per Sumach Eck, A.K.A. Gonjasufi, questa volta, a differenza dal precedente “A Sufi and A Killer”, senza l'aiuto del produttore (e fornitore di buona parte delle basi), il losangelino The Gaslamp Killer. Venticinque minuti che fanno dieci pezzi, brevi quanto intensi, che ti trasportano sulla scabra superficie di un pianeta scuro e battuto dai venti freddi di un perenne autunno, a partire dall'agghiacciante primo pezzo, White Picket Fence, con un piano trasportato direttamente da "Pawn Hearts" dei meravigliosi Van Der Graaf Generator, che si stempera senza soluzione di continuità nella saturazione perenne di Feedin' Birds, con la voce eterea della moglie di Eck, April, quasi sovrastata dal tappeto sonoro distorto e deragliato e sfuma nel trip-hop di Nickels And Dimes, in cui la voce di Eck, un misto tra Tricky e Lee “Scratch” Perry salmodia filtrata da mille effetti.
Il discorso continua senza interruzioni con Rubberband, introdotta da una specie di clavicembalo e traforata da un beat pesantissimo e saturato, prosegue con il quasi dub di Venom, velenosa (appunto) cantilena scorticata, con Timeout, che ricorda gli episodi più disturbanti di Mark Stewart, ancora dub, psichedelia dissonante e voce filtrata, poi con Skin, ancora suoni distorti e pesanti per accogliere la voce di Eck e il controcanto della moglie April. Si arriva quindi ad uno degli snodi cruciali del disco, la programmatica The Blame, in cui su una base new wave funerea, finalmente riusciamo a sentire la voce del nostro eroe in tutto il suo strano fascino.
Ancora due pezzi: Blaksuit, raschiante trip-hop a bassissima fedeltà, con quella forte sensazione di dislocazione spaziotemporale sul pianeta dell'eterno autunno e la breve, finale, ultradistorta, Sniffin', e il viaggio è finito. Solo due di pezzi superano i tre minuti e probabilmente questo fatto giova alla fruibilità di un disco ostico e duro, sicuramente meno “musicale”, passatemi il termine generico, del precedente lavoro, ma, a mio parere, assolutamente da ascoltare se avete amato, come me, l'epopea dub/techno e chissà cos'altro della gloriosa On/U Sound e la “Maffia” di Mark Stewart. Pare che mister Eck faccia come secondo lavoro l'istruttore di yoga, una disciplina che dovrebbe portare al rilassamento e al benessere: da questo disco emerge tutto il contrario, suoni dissonanti, atmosfere stranianti. Guardatelo, mentre si aggira per una Los Angeles spettrale, invasa da sabbie desertiche, nel video di The Blame, con i dreadlocks, il barbone, un poncho sdrucito e l'aria sperduta. È il miglior modo per convincervi a procurarvi questo disco. Consigliatissimo.
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