Liars MESS
[Uscita: 24/03/2014]
“Siamo una band schizofrenica, andiamo da un opposto all’altro”. Questa frase, pronunciata dai Liars durante una recente intervista, non poteva essere più calzante per descrivere il progetto musicale newyorchese che dal 2001 è riuscito a produrre sette album il cui solo filo conduttore sembra essere la costante voglia di rinnovarsi. Ma i cambiamenti, si sa, non sempre sono positivi come vorremmo, e soprattutto non è scontato che aggiungano qualcosa di nuovo. Lo dimostra l’ultimo lavoro dei tre musicisti americani, i cui brani si discostano dichiaratamente dalle “sovrastrutture mentali” dell’elettronica più d’avanguardia che hanno caratterizzato le opere precedenti e lasciano spazio ad un disco che sembra (e probabilmente è) scritto di getto, senza particolare cura per il risultato finale. Ci si accorge del cambio di direzione sin dai primi secondi dell’apertura di Mask Maker, in cui una voce filtrata, profonda e inquietante, introduce un sintetizzatore che richiama i vecchi giri di basso dei rave techno prodotti dall’immortale tb303.
L’incedere ritmico della batteria aiuta a realizzare un’atmosfera vintage, ma non vi è nulla di sorprendente nel sound: è un gioco di abilità, in cui vecchi schemi vengono riesumati per dare vita ad un nostalgico e passivo reprise di un’elettronica, se non scialba, perlomeno acerba. Detto questo la canzone con cui inizia il disco offre una perfetta panoramica di tutti gli elementi che percorreranno le successive canzoni: sintetizzatori analogici, giri di basso ipnotici e minimali, atmosfere dark e una sezione ritmica massiccia e compatta, tipica del sound di molta elettronica tedesca. L’imperante spirito del “lasciarsi andare” resta integro anche in tutte le altre songs, e le emozioni che regala il cd sono ben poche, tranne alcuni sprazzi di genio sparsi qua e là in alcune tracce, che, comepennellate di colore su una tela vuota, attirano l’attenzione dell’ascoltatore e lo ammaliano per qualche secondo. Ma la tela resta bianca, sostanzialmente priva di spessore. Se ci si lascia trasportare dallo stato d’animo dei compositori ci si può anche divertire in qualche frangente (come nell’esagitata Mess on a mission) e restare coinvolti da qualche soluzione ritmica (il misterioso tappeto sonoro ritmico che apre Darkslide ne è un perfetto esempio), o rintracciare intelligenti contaminazioni con generi paralleli (come in Vox tuned, dove una linea vocale strettamente imparentata con le sonorità dei Bauhaus viene inserita perfettamente in un contesto elettronico).
Ma tutto questo non serve a risollevare un’opera che sembra snaturare e oscurare quella che è la vera identità dei Liars, un gruppo che riesce ad essere intellettuale, ma concreto, cosa rara ai giorni d’oggi. In mezzo ad un’opera tutto sommato non memorabile, una tenue rassicurazione che la vena artistica del trio non si è spenta ci arriva dalla traccia finale del cd, Left speaker blown, un ammaliante chill out magnetico contornato da una seducente linea di basso, che con discrezione accompagna l’evolversi della canzone, ricco di suoni aerei di feedback distanti e lunghe note di chitarra trasportate dal riverbero, ornato da organi naif seminascosti nell’arrangiamento, abbellito infine da una voce che riesce per la prima volta ad essere rilassata e non più tesa da schizofrenici risvolti rave. L’unico modo per dare un giudizio a questo cd è quello di considerare la complessiva storia dei Liars, percorsa interamente da una forte volontà di reinterpretare il proprio universo sonoro, una sorta di “nomadismo musicale”. Per questo, in fin dei conti, è apprezzabile il loro tentativo di scoprire la parte più “accessibile” della propria arte, anche se il risultato, di certo, non resterà memorabile.
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