of Montreal LOUSY WITH SYLVIANBRIAR
[Uscita: 8/10/2013]
# CONSIGLIATO DA DISTORSIONI
of Montreal (proprio così, con la minuscola) sono, sostanzialmente, una one-man band, o meglio, sono la creatura esclusiva di Kevin Barnes, cantante e polistrumentista (chitarra, tastiere, basso, batteria) che nel 1996 decise di fondare una band dopo il fallimento di una relazione con una ragazza, guarda caso, di Montreal e un trasloco in quel di Athens, Georgia. È difficile trovare una definizione per la musica prodotta da allora da questo personaggio, in tutti i sensi, e dalla abbondante pattuglia di collaboratori da lui assoldati nell’elaborazione dei dodici album che ha dato alle stampe. Certo, il tutto rientra nella grande categoria dell’indie-pop, ma il buon Kevin non si è fatto mancare nessuno tra gli ingredienti con i quali si può arricchire un canovaccio fatto di melodie sempre piacevoli e accattivanti. E allora si parte dal mood acustico lo-fi dei primi album per attraversare la psichedelia, il funk, l’elettronica, addirittura la disco, sempre ad accompagnare la vena stralunata dei suoi testi, a volte personali, altre romanzeschi, con un vocabolario spesso desueto e un gusto per i giochi di parole.
Questo “Lousy With Sylvianbriar” segue l’oscuro “Paralytic Stalks”, uscito lo scorso anno, in cui il pop psichedelico si ammantava di progressive ed elettronica. Bene, qui ci si muove su tutt’altre coordinate, il suono ci porta indietro, al rock e al country dei beneamati anni ’60 e ’70, tanto che lo stesso Barnes, intervistato sull’argomento, ha citato tra le influenze il glorioso Neil Young, i Grateful Dead e i Flying Burrito Brothers. Anche il metodo di registrazione prende spunto da quell’epoca d’oro: è ancora Barnes a comunicarci “ho voluto lavorare rapidamente e mantenere un alto livello di spontaneità e immediatezza”. Detto da uno che era abituato a registrare i dischi facendo tutto da solo in studio, tra computers e sovraincisioni varie, è una dichiarazione d’intenti piuttosto forte e il fatto di essersi circondato di esperti musicisti di studio non fa altro che avvalorarla. Il risultato è davvero notevole: l’album suona “classico”, nella migliore accezione del termine. È una scelta che ci ricorda quella messa in atto dagli Okkervil River nel loro ultimo, ottimo lavoro. La ricerca delle radici, evidentemente, fa bene.
Tra le undici tracce, tutte di ottima qualità, spiccano l’opener Fugitive Air, aperta da una slide guitar “d’antan” e dalla voce di Barnes, al limite della saturazione, dal tono jaggeriano, che si sviluppa in un jingle-jangle semiacustico, l’atmosferica Obsidian Currents, tra piano elettrico e voce in stile Bowie, dal ritornello appiccicosissimo, la dylaniana Belle Glade Missionaries, in cui, però, risuonano echi di questo lato dell’Atlantico, in particolare provenienti da Liverpool. Ancora, è il caso di citare Trumphs Of Disintegration, funk d’epoca, con tanto di coretti e tastiere vintage, ma dotata di un trionfante ritornello e di un assolo in puro stile white album, e la saltellante, kinksiana, Hejira Migr. Un grande album, in definitiva, che detronizza l’acclamato “Hissing Fauna, Are You The Destroyer?” dal primo gradino del podio dei “best of” del gruppo.
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