Julia Holter LOUD CITY SONG
[Uscita: 27/08/2013]
# CONSIGLIATO DA DISTORSIONI
Julia Holter, ventinovenne di Los Angeles, cantante, polistrumentista, accompagnatrice di molti artisti tra cui Linda Perhacs, è una dei pochi musicisti rimasti a pubblicare regolarmente un disco all'anno. Questo “Loud city song” è il terzo nel giro di non molti mesi e il primo in cui si circonda di numerosi altri musicisti, soprattutto fiatisti, come dice il titolo della terza canzone Horns surrounding me. La musica di Julia è molto diafana e raffinata, così come il timbro della sua voce, molto cristallino, che può ricordare altre divine del rock al femminile, da una giovane Siouxsie, a Kate Bush, passando per Joni Mitchell. Il disco, che comprende canzoni scritte due anni fa, è ispirato dal romanzo di Colette “Gigi”, ma anche dal poeta e curatore del MOMA Frank O' Hara (1926/1966). Nel primo brano, World, scelto come singolo, l'inizio è affidato quasi esclusivamente alla voce, che tratteggia una melodia fragile, accompagnata da un coro a bocca chiusa sussurrato, e anche quando entrano gli strumenti si limitano a un'armonia di fondo. Un'atmosfera magica e sospesa nel tempo, simile a quella del recente album di These New Puritans, anche loro passati per Domino records.
Evidentemente tra i musicisti dell'ultima generazione c'è un desiderio di fuga dal caos e la ricerca di sonorità che esprimano un mondo diverso. Forse è anche possibile che l'immaterialità delle relazioni attuali, che si svolgono in gran parte sui social networks influenzino un modo di fare musica poco corporeo. Ma queste elucubrazioni non spaventino l'ascoltatore: non è un trattato di sociologia quello che abbiamo sul lettore, ma un disco. E la musica contenuta è molto bella. Certo, è musica particolare, i ritmi non sono mai sostenuti, le percussioni sono poco più che un battito. Anche in brani più incalzanti come la già citata Horns surrounding me l'impianto ritmico è affidato a tutto l'ensemble nel suo insieme. Interessante per il critico anche questa passione delle giovani musiciste per imponenti sezioni di fiati, vedi i recenti lavori di St. Vincent. È invece il contrabbasso a reggere In the green wild, mentre This is a true heart ha un tempo che accenna la bossa nova, con un sax insinuante che sale al proscenio. Musica indefinibile come genere, c'è del jazz, c'è del rock anche senza chitarre elettriche, c'è la sperimentazione e la melodia pop. Proprio per tutti questi motivi è un disco molto riuscito e interessante.
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