Adriano Zanni SOUNDTRACK FOR FALLING TREES
[Uscita: 25/07/2017]
Adriano Zanni è un artista multimediale. Fotografo, scultore del suono, video maker. Conosciamo bene la sua grande passione per il celebre film di Michelangelo Antonioni, "Il Deserto Rosso" (1964) che è stata cristallizzata nel suo lavoro “Piallassa, Red Desert Chronicles” (Boring Machines, 2008) firmato con il precedente moniker di Punck. Il deserto in qualche modo ritorna. La riflessione è puntata sul vuoto esistenziale. Adriano riesce ad evocare perfettamente l’alienazione post industriale, il malessere di un sofferto adattamento tra forme viventi e desolanti architetture concepite per celebrare la staticità. Nelle sue fotografie c’è una ricerca di umanesimo e di creatività che emerge proprio dall’esasperazione dei toni grigi, dalla linearità e regolarità geometrica e da impercettibili dettagli. Un colore, una distorsione da movimento, una sfocatura prospettica. Elementi di rottura e di lacerazione attraverso i quali è possibile cogliere una grande intensità emotiva.
"Soundtrack for Falling Trees" spinge davvero oltre la ricerca. Il simbolismo dell’albero, foriero di vita per eccellenza, immortalato inerme, secco ceppo inanimato in landa arida. Una scultura che sublima la nostalgia romantica del perduto. Le pose dell’albero come gesti di muta disperazione ma mai di resa. C’è la tenacia delle radici ancorate al suolo, le linee irregolari di un elemento che dialoga con il circostante e che stagliandosi verso il cielo ne anela la luce. Le metafore di Antonioni si colgono con evidenza, amplificate dal drone di Fake Trees, una specie di riverbero ossessivo, una fonte sonora che si addensa e si aggroviglia incapace di diluire, di espandersi. Lonely Trees al contrario è eterea, ovattata, pulviscolo ambientale che si sfalda e restituisce eco, vibrazioni. Fallen Trees enfatizza la staticità del rumore di fondo per far risaltare i contrappunti di disturbo.
Le trame si contorcono faticosamente e la visione di fondo è come quella di un colore predominante che permane e assume forza. C’è una certa indulgenza nella plasticità e nella rigidità che appare quasi incitamento a cogliere le sfumature. Dead Trees è energia condensata, frequenze ingabbiate che ansimano ossessive in una specie di progressione lacerante. Questa idea di cromatismo ridondante unisce l’elemento visivo e sonoro, li comprime in una forzatura sincronica che esige uno sforzo interpretativo. L’invito a non cogliere la passività delle cose ma a contemplare attraverso esse i passaggi di vita. L’inespresso potenziale estetico di una morte che non può più raccontarsi ma rivivere ogni volta nell’immaginario di chi osserva.
Correlati →
Commenti →