Heatens LOVE SONGS FOR INSENSITIVE PEOPLE
[Uscita: 05/04/2019]
Deciso passo indietro il terzo disco degli Heathens. Il gruppo feltrino arriva in ritardo su tutti i riferimenti storici, non ne azzecca uno affondando nella noia. Lo stile è un trip hop che vorrebbe richiamarsi al dark storico e all'elettronica gelida dell'ultimo quarto di secolo, ma il concetto ultimo è sempre l'Indie del decennio che si chiude. Si compone dei fratelli Del Pan (Mattia voce, Lorenzo elettronica), Francesco Dal Molin basso, Massimo Capello chitarra, Stefano Pettenon batteria e Matteo Valt sintetizzatori. Tutto questo armamentario pare evaporato nella registrazione. "Love songs for insensitive people" promette quel che annunzia sin dal titolo: gare d'introspezione, esistenzialismi inconcludenti, citazioni un tanto all'etto di Celine e tanta tappezzeria sonora che segue rotte abusate allo spasimo. Nelle note, il gruppo annuncia il senso delle canzoni traccia per traccia, il problema è che c'è più lavoro in questa sede che nel suonarle: troppe spiegazioni, poca musica. Ed infatti nessuno strumento effettua voli trascinanti, nonostante le tante collaborazioni s'adagia su un piano tenue al punto che sembra possa spezzarsi di continuo. Se ciò rappresenta l'interiorità degli autori, non è certo solo loro responsabilità: la musica popolare da decenni sguazza nell'antivitalismo, il risultato è depressione ovunque. Come funziona la musica? I brani sono segnati da un'elettronica cupa e spuntata, da strumenti a corda affievoliti e da poca batteria acustica, mentre quella elettronica non inchioda all'ascolto come dovrebbe. Ben 5 brani su 8 giungono ad un punto in cui paiono collassare per poi riprendersi in un tentativo d'ascesa, ma non funziona mai veramente.
Su questo paesaggio desolato, la bella voce di Mattia viene usata malamente, togliendo potenzialità. Così Humans imita i Joy division passati attraverso il trip hop, il risultato è privo di fascino ammaliante come d'ipnosi. Fil di ferro contiene un recitato e poca musica bollata da sbiaditi accordi di chitarra che forniscono un sottofondo, mentre la voce strappa l'attenzione nel tipico vizio italico di esagerarne l'impatto nel mix. Troppi brani sono caratterizzati da elementi che si perdono in una produzione timida e attenta più ad ammobiliare il tutto in linea con le regole del genere che a lanciarsi nell'energia della musica, ed essa risulta fredda e distaccata anche da se stessa, ma purtroppo non alla Nick Drake. No tears regala brividi grazie alla voce di Pall Jenkins e a un'elettronica finalmente usata al meglio, purtroppo Heartbeats si crogiola in quel panorama speculando su un'intuizione per poche ghinee di ritornello. Qua e là si ritrovano accenni del melodismo degli esordi, ma senza essere adeguatamente sviluppati. Il disco è un pretesto per qualche sacrosanta denuncia immersa nell'armamentario di un intellettualismo che non colpisce più nessuno. E la musica (quel che conta) svanisce.
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