Kurt Vile BOTTLE IT IN
[Uscita: 12/10/2018]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Philadelphia, Springsteen. Ascoltando Loading Zones, l’intro di “Bottle It In” è impossibile non correre lì con l’immaginazione. Anche se Kurt Vile compie da sempre un suo viaggio personale che coincide con una ricerca musicale profonda e fortemente introspettiva, affrontato con quella nonchalance necessaria per rilassarsi ad osservare bene e male, senza fermarsi mai ma sempre all’ombra di una malinconia assoluta ma benefica. Sembra uscito dal 1991, con quei capelli lunghi e discutibilmente vaporosi; e invece ha i piedi ben piantati a terra, mentre esamina le proprie passioni e le confronta con un presente irrequieto e americano. Uno stream of consciousness che aggroviglia e non lascia più: un tappeto sonoro perfetto che scivola dritto fino alla fine.
Dolcemente retrò, felicemente fuori dalle mode, fieramente popolare: ci si perde in “Bottle It In” in quella malinconia dalla quale è dolce lasciarsi cullare, come un mantra che ipnotizza e porta fino alla fine di un lavoro perfetto e screziato, dalle radici folk che sanno perdersi, confondersi e mescolarsi con una bruma psichedelica. “I was on the moon, but more so i was in the grass”: eccola la dichiarazione d’intenti, contenuta in Bassackwards, punta di diamante di un disco bellissimo e pieno di magia, con quei riff tipicamente lunghissimi che danno alle singole tracce durate che mettono a dura prova l’ascoltatore (la title track raggiunge e supera i 10 minuti).
Loureediano e apatico, fuori dal tempo e fuori dal giro Kurt Vile, ma così intenso nel raccontare le sue storie che è impossibile non lasciarsi catturare. E quella che ad alcuni può sembrare una sorta di -bellissima- stasi creativa, qui invece sembra il frutto di una logorrea compositiva ed emozionale (quasi un'ora e venti) che pone l’artista su un podio ideale della guitar-music del nuovo secolo.
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