Dargen D'Amico Bir Tawil
[Uscita: 04/12/2020]
Nuovo ritorno con cambio di direzione musicale per Dargen D'Amico, che con “Bir Tawil” dopo le tante collaborazioni degli ultimi anni torna a realizzare un disco completamente da solo, proponendoci un lavoro che ancora una volta sfugge ad ogni definizione e alle convenzioni del rap e del cantautorato. “Bir Tawil” è un deserto disabitato al confine fra Egitto e Sudan: non ci è dato sapere se l'artista si sia mai recato a visitarlo, ma l'impressione, in quello che egli stesso ha definito un album in cui gli è difficile trovare un messaggio verso i propri ascoltatori, è che Jacopo abbia scelto l'immagine perfetta di un non luogo in cui l'orizzonte monotono fra cielo e sabbia si rivela come punto di infinite possibilità nate dal contrasto fra i due elementi. La copertina a tema mistico, con il rapper in posa ieratica all'interno di un triangolo di luce che lo fa risaltare in mezzo all'oscurità, da un lato prosegue l'irriverente gioco con il sacro iniziato con D'Io, dall'altro fa pensare all'approccio creativo assolutamente unico intrapreso da Dargen. Il rap flirta con l'elettronica, il mood resta sospeso fra tono cantautoriale e ironia surreale, grazie alle acrobazie fatte con frasi e sillabe, ma in tutto ciò l'imperativo è solo uno: non adagiarsi, non ripetersi, fuggire ad ogni possibile interpretazione sorprendendo l'ascoltatore. “Bir Tawil” è un album molto variegato, nel quale si passa da brani vagamente oscuri pervasi da un'ironia amara e caustica (Monte, Dalla Parte Della Legge, Internet E' Un Virus) ad altri più dal tono più easy e simpaticamente surreale in puro Dargen-style (Senza Restare Da Soli, Abbastanza, Ma Non Era Vero). La vena sperimentale emersa nelle recenti collaborazioni con Emiliano Pepe e Isabella Turso si esprime in quest'occasione con un trittico di brani particolarmente lunghi: Boulevard Verona, Vedova e soprattutto Non Sono Più Innamorato, della durata di ben 13', sono registrazioni caratterizzate da una forte teatralità, in cui D'Amico si esprime a ruota libera in una specie di via di mezzo fra un monologo rap ed una jam solitaria attraverso cui esprimersi a ruota libera, con incastri di parole e musica che uniscono in un solo brano realtà e assurdo. Tanta sostanza dunque in “Bir Tawil”, con 75 minuti di musica suddivisa in quindici pezzi in cui Dargen D'Amico dà libero sfogo al suo estro creativo, giocando a sorprendere l'ascoltatore con un gusto per l'inaspettato capace di rendere il suo rap qualcosa di unico nel panorama nostrano grazie al modo con cui il 'cantautorapper' milanese gioca con parole e suoni alla faccia di ogni cliché, unendo il gusto per le melodie più squisitamente pop alla voglia di sorprendere con soluzione nuove. Probabilmente non si tratta di uno stile per tutti, ma è inevitabile riconoscere a D'Amico il merito di essere uno dei pochi ancora in grado di stupire, all'interno di una scena inflazionata da stereotipi e frasi fatte, elementi certamente buoni per una copertina su una rivista di spettacolo mainstream, dove tuttavia alla fine è sempre l'immagine a predominare sulla musica, purtroppo. Rispetto a queste produzioni patinate e stereotipate, le canzoni di Dargen D'Amico si rivelano all'ascoltatore più per la sostanza che per l'immagine: è lo stile così deliziosamente bizzarro, personale e dal sapore artigianale a rendere le canzoni di “Bir Tawil” e degli altri album del nostro 'cantautorapper', capaci di stupire l'ascoltatore. Positivo o negativo che sia, il segno lasciato da queste canzoni è figlio della loro unicità, ed in un genere sommerso da personaggi costruiti ad hoc in nome delle classifiche si tratta davvero di un grande merito.
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