Oren Ambarchi-Jim O’Rourke BEHOLD
[Uscita: 03/03/2015]
Australia-USA #consigliatodadistorsioni
Due grandissimi esponenti della sperimentazione musicale contemporanea ancora una volta provano a mescolare le loro intuizioni-elucubrazioni per fornirci l’ennesimo quadro di sofisticati astrattismi da interpretare. Oren Ambarchi e Jim O’Rourke, con questo "Behold", provano ad offrirci un secondo episodio di ideale prosecuzione del loro primo “Indeed” (2011). La collaborazione tra i due si era fregiata anche di un terzo autorevole componente, Keiji Haino, per un'altra serie di uscite targate Black Truffle (etichetta dello stesso Ambarchi). In realtà si tratta però di due discorsi distinti. Nell'ultimo caso la grande differenza sta proprio nell'apporto del chitarrista giapponese, che porta l'improvvisazione ad un livello estremo, con le sue incursioni noise tanto esasperate quanto intense. In questo caso invece le due personalità si fondono e paradossalmente quasi si eclissano dietro la monumentale costruzione sonora che ne scaturisce. Due suite di musica elettronica, field recordings e flussi strumentali minimali che galleggiano su tempi diradati e texture stratificate e scomposte.
Gli intenti sia armonici, sia di disturbo uditivo, scompaiono per aprire il campo a modulazioni e frequenze davvero ostiche e spigolose. Sculture sonore e manipolazioni elettroacustiche pedantemente e ossessivamente chiuse ad intenti accademici, ad allenamenti percettivi sulle variazioni infinitesimali delle timbriche e dei toni. Qualcosa che inevitabilmente si sdogana da ogni coinvolgimento emotivo anche per i più pignoli esaltatori del genere. Nella prima suite (Behold One) c'è una progressione che avanza a mo' di nebulosa e si colora solo di lievità glitch e riverberi foschi che suggeriscono alienazione, smarrimento, glacialità. La seconda (Behold Two) insiste nella stessa amorfa tematica di atonalità fosche, per non dire lugubri, e si movimenta in un caos cosmico finale. Un insidioso poema delle ombre in cui i due artisti mettono in conto il rischio di diventare ombre loro stessi, spingendo la loro estetica agli apici della comprensione in un territorio inospitale e inanimato, dove tutto è votato alla plasmabilità e alla rottura schematica del far percepire usato come medium-comunicazione. Un'opera ambiziosa, metalinguistica (o meta musicale se preferite) paragonabile ad una moderna opera d'arte ermetica, un'involuzione-evoluzione portata all'eccesso.
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