Radiohead A MOON SHAPED POOL
[Uscita: 08/05/2016]
Inghilterra #consigliatodadistorsioni
Da qualche giorno i Radiohead avevano svuotato il contenuto del proprio account twitter, facebook e del sito ufficiale, lasciando solo uno sfondo bianco che faceva presagire qualcosa di imminente all'orizzonte. La pubblicazione quasi a sorpresa di “Moon Shaped Pool” (per il momento solo in formato digitale; CD e vinile usciranno a fine maggio) rende chiaro che quella tabula rasa virtuale rappresenta un nuovo inizio o, semplicemente, la chiusura di un cerchio. Perchè se il suono della band di Oxford, a partire da “Ok Computer” in poi, ha raffigurato il ritratto impietoso di una società intesa come babele postmoderna dominata da un dis-umanesimo tecnologico che ha deprivato ogni cosa della propria identità, oggi si avverte un cambio di rotta, una sorta di pacificazione che ha qualcosa di fatale.
Dall'ascolto delle undici nuove tracce si percepisce come il nuovo album sia forse il più introverso della discografia dei Radiohead e questo non solo per la minore densità di elettronica, ma per il modo di inseguire la profondità con registri diversi che lasciano spazio al fluire di suoni eterei, agglomerati da un uso degli archi quasi spectoriano. Tutto questo lascia immaginare come i Radiohead abbiano inaugurato una nuova idea di folk cosmico nata da un'attitudine psichedelica ed introspettiva, valorizzata da una produzione meticolosa sui suoni che punta a fare emergere una miriade di dettagli e di microscopiche stratificazioni.
L'iniziale Burn The Witch spiazza per la combinazione di elementi cameristici abbinata ad un groove profondo di basso, in un climax che detta la linea della svolta. Difficile trattenere l'emozione all'ascolto di Daydreaming, così simile alla solennità di Motion Picture Soundtrack, con il pianoforte che gioca con una voce in reverse e con un tintinnio di suoni che sanno di cose perdute. Decks Dark continua lì dove il pezzo precedente finisce, in un flusso sonico che si dischiude ad un mood crepuscolare.
La cullante ipnosi del fingerpicking di Desert Island Risk ha il sapore degli aromi psichedelici provenienti dalla West Coast di David Crosby, mentre Ful Stop ha un motore ritmico pulsante che ricorda gli anfratti alienanti di “Mezzanine” dei Massive Attack e la successiva Glass Eyes è permeata da un classicismo bucolico dai connotati sinfonici. Il drumming sincopato di Identikit, brano già testato nei live, riporta a certe aperture di “In Rainbows”, mentre la luce soffusa di The Numbers potrebbe appartenere a Jonathan Wilson, con gli archi che erigono un wall of sound vicino al Beck di “Morning Phase”.
Dopo la bossanova di Present Tense ed il cuore al silicio di Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief, si arriva alla conclusione con la riproposizione della toccante True Love Waits, già presente nell'album live “I Might Be Wrong”, come a rinsaldare un patto tra passato e presente. “Moon Shaped Pool” rappresenta probabilmente un punto di non ritorno, un autentico riappropriarsi di se stessi attraverso la sottrazione e la giusta misura, con brani dall'anima accorata e coinvolgente dinanzi ai quali l'unica cosa sensata da fare è lasciarsi andare.
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