My Dear Killer THE ELECTRIC DRAGON OF VENUS
[Uscita: 23/02/2013]
Questo nuovo lavoro di My Dear Killer arriva dopo svariati anni di attesa dall’ultimo “Clinical Shyness” (2006) e in qualche modo fa chiudere un complesso percorso di ricerca sonora che collega i due lavori anche attraverso l’EP "Cynical Qietness". Un percorso che ha dato l’imput allo sviluppo e all’ascesi di un’etichetta come Boring Machines, che proprio per promuovere MDK si è formata e poi evoluta e che proprio a questa fa ritorno, nella sua palingenesi ciclica. Questo lavoro sembra minimale e scarno ad un primo ascolto ma in realtà racchiude una sorprendente omogeneità negli arrangiamenti, un filo conduttore di ricerca che restituisce atmosfere intimistiche e allo stesso tempo sentori di fluttuazione siderale che vogliono quasi porre fine a linee di demarcazione ancorate a spazi, tempi, luoghi. Supportano il lavoro di Stefano Santabarbara alcune guest del calibro di Matteo Uggeri, Stella Riva e Gherardo della Croce. Tutto farebbe pensare ad un subconscio che si rimette alla fatalità di eventi più grandi. Non in termini di resa, non come un soccombere a qualcosa che predomina. In termini di osservazione/esplorazione. Poter prendere parte a molteplici visuali e poter scorgere la vastità delle realtà parallele che caratterizzano le nostre percezioni. Farlo con distacco e partecipazione al tempo stesso.
Si riesce a rendere questo fluire cosmico attraverso l’arpeggio acustico-flebile, onirico, reiterato-interrotto da field recording e delay elettronici distribuiti con maestria, come riverberi acquatili, come propagazione di indefinite vibrazioni perse in spazi sconfinati. Un alt-folk noise sfaccettato che reca in sé elementi poetici quanto enigmatici. Un galleggiamento tra raccoglimento domestico: pulsante, cerebrale, teneramente naif nell’approccio lo-fi e una fuga psichica insondabile che divaga in apnee metafisiche, in torpori di desolazione post urbana ed esistenziale. The Electric Dragon of Venus pt. 1, ripresa poi in chiusura pt. 2, è una specie di lunghezza d’onda sfocata in cui il fingerpicking diventa una risacca, le voci di sottofondo sembrano reminiscenze che uniscono idealmente sentori di ignoto. Passato e futuro sono drappi oscuri e imperscrutabili in cui annega la saudade dell’attonimento, della meraviglia, del mistero che fa congiungere pneuma e psiche. Mild Eyes enfatizza i feedback e lascia spazio espressivo alla voce che si apre varchi dai droni distorti trasmettendo un senso di sofferta autodeterminazione.
Il sussurro soffuso di Frozen Lakes, appena accompagnato da accordi acustici di chitarra, gioca sugli spazi vuoti, sulla percezione tattile e sensoriale, su equilibri fragili di profondità messe a nudo e ci ricorda tanto l’incantata alienazione di Elliott Smith. Glass Glow è un’elegia trasparente lacerata da un solco di abrasione che vi passa attraverso, uno stridore metallico che ne mette in rilievo il palpito tremulo. Dualità metaforica evidenziata anche in The Scent of the Water con pregnanti inserti di cello così come in Magnetic Storm. Tutto è riassunto in una non linearità, in un procedere singhiozzante popolato da ricordi affioranti, presagi in flashback, lievità e spleen. Si tesse l’impalpabile, si dà forma al fluire dei pensieri e tutto assume il grande magnetismo di una progressione di consapevolezza, di lucidità afferrata nel dormiveglia, nell’introspezione, nella messa a fuoco di interiorità.
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