Cheap Wine DREAMS
[Uscita: 5/10/2017]
#consigliatodadistorsioni
Una carriera lunga vent’anni, ricca di nove album in studio, due live e un mini LP (l’esordio “Pictures”, per l'appunto targato 1997) per un gruppo rock indipendente (nel senso più aderente al significato del termine) italiano rappresenta un traguardo che merita di essere celebrato e i pesaresi Cheap Wine lo fanno nel migliore dei modi con “Dreams”, chiusura della trilogia iniziata nel 2012. Iniziò con “Based On LIes” (nel quale i personaggi cercavano un riparo da una crisi, economica e di valori, che li stava aggredendo), proseguì due anni più tardi con “Beggar Town” (la presa di coscienza della distruzione, l’osservazione delle macerie e la necessità di trovare la forza per rialzarsi e ricominciare a camminare), fu interrotta dalla superba parentesi del live “Mary And The Fairy” di due anni fa. Nel nuovo capitolo le canzoni raccontano la prospettiva di un nuovo futuro, nel quale tornano in gioco i sentimenti, le aspirazioni, i sogni che erano infranti al tempo dell’esplosione della crisi. Come sempre, i testi di Marco Diamantini sono importanti, ricercati, profondi, a sposare musiche, scritte dallo stesso o dal fratello Michele (magnifico chitarrista, misurato ed essenziale, ma all’occorrenza trascinante), perfettamente aderenti al racconto.
L’album è aperto da Full Of Glow, rollingstoniana, cattiva il giusto e perfetta introduzione a un disco marcatamente rock, esaltato dal lavoro di sezione ritmica (Alan Giannini alla batteria e Andrea Giaro al basso, precisi dotati di una certa dose di fantasia) e tastiere (l’ottimo Alessio Raffaelli), spesso a creare un suono “di gruppo” che ricorda il sound di Tom Petty And The Hartbreakers (Naked, The Wise Man’s Finger), ma musicisti capaci di creare atmosfere cariche di tensione anche nelle ballate più oscure, vicine alle uscite soliste di Steve Wynn o Dave Alvin (Pieces Of Disquiet, Cradling My Mind) o di aggiornare il canone del combat-folk (la bellissima Bad Crumbs And Pats On The Back). Non c’è un solo minuto di stanca, in queste dieci tracce, concluse dai due gioielli rispondenti a Reflection (ballata acustica, d’impronta quasi prog, affascinante) e alla title track, splendida ballata giocata su chitarra acustica e piano elettrico, ritmica discreta, la voce a declamare un testo tra i migliori che mi sia capitato di leggere ultimamente (ci avete fatto caso? Difficilmente si parla ancora delle liriche. In questo contesto, a suggello delle celebrazioni del ventennale, si inserisce anche la pubblicazione di un bel volume contenente tutti i testi, con traduzione a fronte e introduzioni di amici, colleghi, giornalisti. Il libro è ordinabile, come il disco, sul sito della band). Un grande album per un grande gruppo (e se non aveste mai assistito a un loro concerto, possiamo assicurarvi che sono assolutamente da vedere in azione su un palco, non per niente hanno aperto i concerti per gente del calibro dei Dream Syndicate). Straconsigliato.
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