Ofeliadorme BLOODROOT
[Uscita: 22/03/2013]
Ofeliadorme, oltre ad essere il soggetto più amato dai pittori pre-raffaelliti inglesi, è il nome di una delle rock band più apprezzate nell'attuale panorama italiano. Membri del gruppo sono Francesca Bono, voce, chitarra e farfisa, Gianluca “g.Mod” Modica, basso, Michele Post Postpischi, batteria, e Tato Izzia, chitarra e tastiere, più numerosi ospiti. Il titolo del disco “Bloodroot”, è il nome inglese di un fiore, della famiglia delle papaveracee, a lungo usato a scopi medicinali e filtri d'amore, per esempio dai Nativi Americani. La voce di Francesca, dal timbro pulito e adolescenziale, conquista sin dalle prime note. Può ricordare quella di Kazu Makino, specie nella title track, dove è accompagnata da ritmi complessi, ma ovviamente non ha l'accento giapponese; altrove ha la freschezza della bellissima Chan Marshall/Cat Power. La musica è un rock d'atmosfera, costruito su chitarre arpeggiate e batteria non invadente. Siamo tra una new wave privata della componente depressiva e l'alternative newyorchese più raffinato.
Quasi inesistente la componente elettronica, compare persino un affascinante mellotron sullo sfondo di Last day first day, il brano d'apertura. I brani sono tutti validi, difficile evidenziarne solo qualcuno. L'indolente Brussels, con ospiti la cantante e attrice Angela Baraldi (presente anche in Pumpkin) e la batterista Vittoria Burattini dei Massimo Volume ci riporta ai tempi lontani del “paisley underground”. L'onirica Ulysses alza leggermente il ritmo. Stuttering morning, impreziosita dal banjo di Marcello Petruzzi, è il brano più rockeggiante. In generale, a parità di riuscita, la prima parte del disco, più lenta e sensuale, risulta più suggestiva. Come avrete dedotto dai titoli il gruppo ha scelto di cantare in inglese, scelta che condivido, perché molto spesso capita di sentire gruppi che, usando l'italiano, incastrano a fatica testi troppo pretenziosi nella musica. Un disco breve -solo mezz'ora- ma intenso, molto riuscito, che mostra come nella scena musicale italiana ci siano proposte molto più interessanti rispetto a tante strombazzate band straniere, rese famose più dalla provenienza che dal talento effettivo. Il disco è prodotto dall'etichetta The Prisoner di Michele “Mezzala” Bitossi dei Numero6, che deduco siano, come me, grandi fan del telefilm stracult degli anni '60 con Patrick McGoohan.
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