Aa.Vv. New wave italiana 1980-1986
New wave italiana 1980-1986 (Minimal Synth, No wave & Post Punk sounds from the 80's italian underground)
L'uscita di questa doppia preziosa compilation é stata l'occasione per la nostra Romina Baldoni per spingersi coraggiosamente in avanscoperta alla ricostruzione di un decennio decisamente importante per la scena rock italiana, anche e soprattutto attraverso le dirette testimonianze di alcuni dei suoi più importanti protagonisti. Lo speciale si divide organicamente in tre parti: la contestualizzazione spazio-temporale, la recensione della compilation e un corpus di otto interviste. Il risultato finale, bisogna sottolinearlo, é davvero imponente e significativo, e ha comportato da parte della nostra collaboratrice un lavoro 'certosino' che si spera possa essere apprezzato appieno dai nostri lettori (P.W.B.)
Contestualizzazione spazio-temporale
Certamente il nostro Paese ha faticato più di altri a imporre il proprio sottobosco di creatività musicale giovanile. Una propria dimensione caratteristica e identitaria in grado di dare vita a sotto culture veramente rilevanti e rivoluzionarie, capaci di scuotere dalle fondamenta ingranaggi storici e morali fin troppo rigidi e ossidati. Non a caso il fenomeno punk fu recepito con molto ritardo e in ambiti veramente ristretti ed elitari. Troppo benpensanti, troppo radicati alla tradizione melodica, troppo moderati per abbracciare gli ideali filosofici del punk militante e sovversivo. Per lo più lo abbiamo supportato sul piano estetico ed esteriore per darci un tono e un'attitudine da freak ma senza capirne la radice ideologica e concettuale. Con il fenomeno new wave non può dirsi lo stesso, semplicemente a causa di coincidenze tempistiche e antropologiche più favorevoli, e sempre con il cronico ritardo intuitivo che caratterizza la nostra tabella di marcia; soprattutto tenendo bene presente la difficoltà effettiva di muoversi al di fuori di circuiti commerciali di distribuzione e partendo da un notevole svantaggio di 'visibilità' dovuto alla quasi inesistente pubblicità dei mass media.
Anche se iniziando dai margini, lo spirito post punk fece maggiore breccia perché poté dar voce ad una creatività arty e a una concezione estetica e improvvisata più calzante con la nostra sensibilità. Nei primi anni 80 si apriva all'orizzonte una stagione di grande fiducia e positività, il benessere raggiunto iniziava a darsi per scontato e subentrava la voglia di curiosare 'oltre', di confrontarsi con altre realtà - sicuri del fatto di poter far valere la propria voce - molti vecchi retaggi ancora gravavano sulle spalle degli adolescenti, ma l'ingenuità si conciliava molto bene con l'entusiasmo delle piccole conquiste, l'intraprendenza con la sana voglia di sperimentare. L'approccio era certamente di tipo superficiale e rispecchiava un bisogno malcelato di non volersi prendere mai troppo sul serio in risposta all'atmosfera soffocante degli anni di piombo, alle lotte spietate per il controllo del petrolio, alla sempre più evidente sperequazione tra ricchi e poveri, all'opposizione tra destra e sinistra. E poi c'era il timore di doversi confrontare con la grande e complessa eredità dei 70 anche. La tecnologia finalmente diventava una realtà alla portata di tutti, l'uso del sintetizzatore era appannaggio del più intuitivo e la possibilità di sperimentare e di creare non richiedeva necessariamente un backstage formativo.
Fu quindi normale assistere a un entusiasta proliferare proprio in ambito elettronico e minimale. I trentacinque brani di questa raccolta tracciano perfettamente quei fermenti e quell'ardore e riportano alla luce, a distanza di trent'anni, una grande ricchezza di intenti, sociali, di costume e aggregazione prima ancora che artistici o concettuali. E non è cosa da poco! Questa nuova ondata rimarrà autentica e incontaminata solo per poco. Questo genuino spirito diy, il geniale dilettantismo che ha contribuito a scrivere tante belle pagine di euforia e vulcanica ispirazione, è stato presto assorbito e mortificato dai soliti furbetti che ne hanno visto un potenziale economico da sfruttare e massificare, strati di polvere si sono depositati su quelle pagine patinate popolate da personaggi bizzarri che pur richiamandosi ai robot ibridi dei cartoni giapponesi, non perdevano la parte più poetica e fragile della loro umanità.
Fino a quando il fluire temporale, nel concedere nuove consapevolezze, non ha finito per evidenziare - e in modo molto più spietato - nuovi vuoti esistenziali, nuove contraddizioni, un cinico disincanto capace di atterrire e far riaffiorare nostalgie incontenibili di leggerezza. Tutta questa premessa perché in questo cofanetto non sono racchiuse solo delle banali canzoni, ma è in qualche modo raccontata la favola della nostra infanzia spensierata. Ogni singolo episodio ci restituisce un'istantanea: l'impaccio del muovere i primi passi, del prendere dimestichezza con gli oggetti, l'esplorazione, la spontaneità, lo sguardo stupito di chi si apre al mondo. Poi la degenerazione dance infangherà quell'exploit di freschezza e approssimazione così puri e così preziosi, quel forziere di idee e di illuminazioni. Poi, molto poi, si guarderà amareggiati a quel fragore dell'irripetibile, a quell'onda anomala del tutti possono farlo, ma mica poi tanto!
La compilation
Negli ultimi anni la Spittle Records ha riportato in vita moltissimi dischi della new wave italiana dimenticati, forse per l'imperversare della moda vintage, forse per alimentare il mercato della nostalgia, forse semplicemente per riannodare alcuni fili e provare a mettere in atto una seria rivalutazione, la risposta non ci interessa. Le stesse mosse sono state effettuate anche da etichette come Anna Logue, Mannequin, Oltrelanebbiailmare. In particolar modo la Mannequin di Alessandro Adriani si fregia di avere come stilema caratteristico quello di riportare alla ribalta in modo puntiglioso il genere electro minimal. Di fatto riascoltare questo materiale ha il fascino indiscutibile e caldo della riscoperta analogica, di un suono impacciato che nel tentare di rendersi compatibile con la contemporaneità ci restituisce emozione. Si avverte una grande sintonia con il gioco del suono, indipendentemente dalla riuscita finale, anzi le cose più legnose, gli azzardi più datati ci sembrano ancor più elettrizzanti e sono capaci di restituirci con maggiore forza certi profumi e certi ricordi annebbiati. La tensione estetica, lo spunto di originalità, un forte senso dell'equilibrio e dell'armonia ci arrivano palpabili e inalterati. Partendo da Bologna, con la Italian Records di Oderso Rubini (i primi a recepire il grande potenziale sotterraneo di molte band emergenti attive nel territorio e catalizzatrici di entusiasmi giovanili) iniziarono a diffondersi le prime etichette indipendenti che diedero voce a intuizioni notevoli come Neon, Diaframma, Gaznevada (originariamente noti come Centro d'urlo metropolitano); gli Stupid Set, furono un gruppo elettronico tra sperimentazione cut up e oscurità subliminale ispirata ai Residents; i Pale Tv (originari di Parma proponevano un insolito trio tutto al femminile per la strumentazione e un ragazzo come cantante!
Con un sound morbido ma cupo e di grande atmosfera). Ancora i Dens Dens, con un funky style molto gradevole e un ottimo equilibrio tra elettronica e strumentazione classica, artefici di un unico singolo "Life got not sense (Without Love)/Meaning of Words" (1984) e poi spariti, caduti nel dimenticatoio; gli eccellenti N.O.I.A. e gli Hi Fi Bros. Rimanendo in zona, e nell'orbita della Italian Records, nacque la Nice Label capeggiata oltre che dallo stesso Oderso anche da Red Ronnie che, almeno in quei tempi, riuscì ad avere un considerevole fiuto nello spalleggiare gruppi interessanti e talentuosi. Fu così che vide la luce il primo album dei Rats "C'est Disco" (1981). Nello stesso lasso di tempo l'asse della nuova ondata si spostò a Firenze e vide protagoniste la Urgent Label, creatura della Materiali Sonori specializzata in New wave, e la Contempo. Materiali Sonori di S. Giovanni Valdarno offriva proposte davvero singolari e inconsuete per l'epoca, affondava le radici nel folk ma era sempre proiettata alla ricerca e ciò la fece crescere, in seguito e a tutt'oggi, nell'ambito della musica di avanguardia di elevato livello. Era capeggiata dai fratelli Giampiero ed Arlo Bigazzi. Furono loro, oltre a produrre il primo 45 giri dei Neon, a lanciare Rinf e Redox: i primi, di Prato, assolutamente originali e inetichettabili con i loro nevrotici riff di chitarre e una tromba pazza e anomala.
La Contempo fu invece il frutto di un bellissimo negozio di dischi che trattava di rarità e chicche per appassionati, si trovava a Via Verdi ed era gestito da Giampiero Barlotti, fu lui a volere una label che incarnasse le nuove aspirazioni della giovane generazione fiorentina, per la sua etichetta uscirono "Altrove" (1983), EP dei Diaframma e furono lanciati i Pankow e i Baciamibartali, presenti nello split rispettivamente con i brani God's Deneuve e The prediction. A Firenze si trasferì anche lo scrittore Pier Vittorio Tondelli per poter completare la stesura della sua celebre raccolta "Un weekend postmoderno. Cronache degli anni '80", un autentico manifesto delle tendenze e delle mode artistiche dell'epoca. C'era la mitica Kindergarden Records di Fabrizio Federighi, una fioritura incredibile di nuovi progetti, riviste, fanzine. C'erano locali come il Tenax, il Manila e il Casablanca. Il collettivo Che fine ha fatto baby Jane? Dal 1984 al 1996 si svolse l'Indipendent Music Meeting in cui le culture rock indipendenti si davano appuntamento e in cui le varie factory potevano confrontarsi: a questo festival i Neon concessero in anteprima il loro singolo My blues is you, a tutt'oggi di una contemporaneità sconvolgente (Kindergarden, 1983). Ma in questa raccolta trovano spazio anche band che all'epoca rimasero inedite: La Maison, X Rated. Brani che comparvero solo in LP compilation di nicchia come: “Carmody”, “State of Art”, “Other Side”, “Davai Ciass”.
Altri che furono semplicemente frutto di autoproduzioni, meteore che si mossero sulle ali di quell'entusiasmo e di quei dettami e che lasciarono solo un'unica e irripetuta traccia: Illogico, Le Masque, Endless Nostalgia, A.T.R.O.X, Degada Saf, Lisfrank, Intelligent Dept, 2+2=5, Surprize, Jeunesse d'Ivoire. I Plath, presenti con due brani, sono assolutamente i più sconvolgenti ed eclettici, (assistendo alla performance degli Ovo - dicembre 2011 - pensai di trovarmi di fronte a un suono innovativo, beh, non avevo ascoltato loro! NdA). Più longeva e con qualche maggiore seguito la carriera di gruppi come Monuments, Chromagain, Central Unit e solo recentemente Luc Orient. Nessuna descrizione per nessuno dei pezzi riportati che vanno semplicemente ascoltati e valutati nel loro complesso, per capire ogni sfumatura di quell'epoca, per captare tante piccole intuizioni che poi sarebbero state sviluppate e integrate con nuovi mezzi. Sicuramente trentacinque belle storie. Un'operazione, quella di tracciarne un documento scritto di riferimento, che è comunque importante da ogni punto di vista.
Lo aveva già fatto la Mannequin con i due validissimi volumi di "Danza Meccanica" (2009 e 2012) dimostrando che l'Italia aveva – eccome - una sua storia da raccontare, una sua voce da far valere e un suo piglio caratteristico assolutamente non secondario rispetto agli altri Paesi. Con questo cofanetto si rispolvera un po' di memoria da custodire, si rispolverano anche pezzi sottovalutati ingiustamente dai meccanismi distributivi dell’epoca e in questo va dato il giusto merito alla Spittle Records di Simone Fringuelli e all'ideatore e coordinatore del progetto Fred Ventura. Il packaging fluorescente con un magnifico sintetizzatore a tutto campo è fatto per soddisfare il buon gusto e il narcisismo di ogni buon figlio degli anni '80 che si rispetti. La scelta stilistica traccia doviziosamente e con più di una sorpresa un percorso preciso del nostro sommerso, qualche illustre dimenticato c'è ma forse è stata una strategia calcolata per catalizzare l’attenzione su ciò che era sfuggito o liquidato con troppa superficialità. Un lavoro senza banalità che ottiene risultati di buona coerenza e omogeneità, andando a spaziare in varie diramazioni e riscrivendo una storia parallela di indubbia qualità.
'Ne uscimmo a pezzi ma puliti'*
* [cit. Antonio Bacciocchi "Uscito vivo dagli anni 80", NdA Press, 2007]
...dalla voce di alcuni dei protagonisti intervistati in esclusiva per Distorsioni.
1 - Giampiero Bigazzi (Materiali Sonori/Urgent Label)
Urgent Label è stata una collana all’interno della Materiali Sonori, nata intorno al 1980. Una storia breve, in qualche modo marginale rispetto alle produzioni “ufficiali” della Materiali Sonori, ma che riuscì a “marchiare” alcuni dischi fondamentali per quel periodo e anche per le nuove tendenze del rock italiano che allora stavano emergendo. Ci proposero questo progetto i due Neon: Marcello Michelotti e Stefano Fuochi Gasparinetti e poi fu determinante Bruno Casini, con il quale collaboravamo su vari fronti della musica indipendente (e che negli anni rimarrà uno dei nostri punti di riferimento). Ci proposero di dare vita a una collana della Materiali Sonori ma condotta con una certa autonomia, che desse spazio alla nuova onda del rock italiano (e fiorentino in particolare). Si presentarono da noi con il nome e il marchio 'Urgent Label' già pronti. Avevano le idee chiare. Si voleva sottolineare l’'urgenza' di quella nuova musica.
Noi accettammo perché capivamo che era un’onda interessante, perché ci permetteva di stare su quella scena fiorentina, pur continuando a fare le nostre sperimentazioni che spesso si orientavano altrove - nel senso internazionale del termine - (Fuzz Dance, la Naif Orchestra, i tedeschi Embryo, ecc.), e perché metteva in moto sinergie e contatti nuovi. Cominciammo proprio con il 7”dei Neon che conteneva Information Of Death e D.I.N.A., coprodotto con l’emittente Controradio: un piccolo ma prezioso disco con un brano che fece epoca (e che Michelotti ha più volte interpretato nelle varie formazioni successive dei Neon). Controradio era una delle due radio libere (l’altra era Radio Cento Fiori) che meglio riuscivano a intercettare in modo puntale la musica più trend. Il rapporto con loro fu un po’ burrascoso, all’epoca, ma alla fine il disco si fece e diventò subito un cult. I Neon furono l’UL 1 e i Litfiba l’UL 2. Furono la seconda proposta e tutti capirono che, di quella scena, era il gruppo che poteva andare più lontano: cantava prevalentemente in italiano, era ‘dark’ ma anche sufficientemente ‘pop-rock’, suonava già dall’inizio abbastanza bene, con una bella immagine, e aveva un frontman straordinario come Piero Pelù, il resto della storia poi lo conoscete tutti.
Per la Urgent Label, nel 1983, uscì anche il 12”dei Rinf (dal titolo omonimo e contenete il brano Mexico) sempre proposto da Bruno Casini. I due Neon si separarono e la loro collaborazione con Urgent Label finì con questa terza uscita. Con Marcello Michelotti, che ha continuato l’avventura Neon, abbiamo successivamente collaborato in altre occasioni (per esempio con il mini album “Obsessions” e poi con le produzioni della Harmony). Arlo Bigazzi ed io continuammo comunque a usare il marchio Urgent Label anche negli anni successivi. La scena leggendaria della Firenze di primi anni Ottanta era finita, altre etichette erano nate (Contempo, Ira, Spittle, ecc.) e noi continuavamo i nostri stravaganti percorsi cominciando nella seconda metà del decennio le nostre esperienze internazionali. Ma c’era sempre una certa “urgenza” di scoprire talenti nuovi: quindi nel 1986 facemmo con quel marchio i primi Cudù di Paolo Lotti (grande musicista scomparso nel 1997 che con il suo Solo fu uno dei 'fondatori' della nostra etichetta), X-Offender (di loro mi ricordo che avevano un violoncello... Una rarità per quegli anni!), la compilation di Rockin’ Umbria (un festival che si teneva a Umbertide a cui collaboravamo), i fiorentini Redox, da cui è stato tratto il brano My memory, presente in questa compilation, (con Massimo Liverani, grande sperimentatore alla chitarra), fino ai Novalia (band con cui abbiamo sviluppato negli anni molte collaborazioni).
Questi titoli finali di Urgent Label uscirono tutti nel 1987. L’anno prima, uscì anche una compilation dedicata a gruppi e musicisti faentini: “Cover – Versioni originali dalla città bianca”, con brani di Kriminal Tango, Santandrea, Reverse, Genitals. Fu una proposta di Giordano Sangiorgi, attuale direttore del MEI, che cominciammo a frequentare proprio in quel periodo. Una cosa che mi piace ricordare è che, a parte il disco dei Litfiba (con una spartana copertina di cartone grigio) e i Cudù (un disegno di Lotti serigrafato a mano con una base cromatica di rosso), tutti gli altri album avevano come base il bianco, proprio lo stesso bianco che ci proposero i Neon per il loro iniziale quarantacinque giri. Forse fu una scelta solo grafica, ma forse volemmo con quel bianco sottolineare lo spirito d’iniziazione di quelle produzioni musicali.
2 - Oderso Rubini (Italian Records)
Sono gli anni della giovinezza, di quell’energia vitale unita all’incoscienza che ti permettono di osare, di immaginare un futuro migliore dando corpo ai tuoi sogni e alle tue aspettative. Noi rappresentavamo un gruppo di persone con un sogno un po' folle di voler far diventare lavoro la passione per la musica, che volevano sfuggire alla logica del posto garantito per tutta la vita, per prendersela, la vita. Era la Bolognadi quegli anni, stimolante, coinvolgente, che attraeva studenti, musicisti, capace di chiedere con forza attenzione per quella rivoluzione del linguaggio che si stava incubando e provava a legittimare le ambizioni di una generazione. Il nostro piccolo studio di registrazione in Via San Felice ha avuto in questo un ruolo determinante: il Punk aveva cambiato tutto, ma la personale frequentazione del Corso di Musica Elettronica del Conservatorio G. B. Martini di Bologna, mi spingeva a sperimentare un uso dell’elettronica applicata al mainstream del momento. Con un Sonic Six Moog, un Polymoog e un registratore Otari 8 piste iniziai a filtrare suoni analogici, costruire melodie ‘pop’, scovare sonorità insolite da insinuare nei meccanismi tradizionali della produzione musicale, con la inevitabile e colpevole complicità di tutti i gruppi con cui ‘giocavamo’ (Gaznevada, Skiantos, Confusional Quartet, Stupid Set, Neon, N.O.I.A., Hi-Fi Bros, Pale, ecc) e provare a costruire una loro riconoscibile identità: la cosiddetta ‘avanguardia alternativa’.
L’Otari è ancora con me, il mixer (impolverato e inutilizzato) è a Pordenone, il Sonic Six abbandonato in qualche cantina. Ma i suoni sono rimasti a testimoniare un grandissimo momento di libertà creativa mai condizionato da alcuna logica di mercato. Quando penso al nostro incredibile percorso la definizione che più sento calzante è quella che diede di noi Enzo Gentile, proprietario della discoteca Hi-Fi, proprio in quegli anni di fervore: «Italian Records è un drink tricolore da sorbirsi alla salute del movimento new wave, cresciuto e sviluppatosi tra i confini nazionali con ben distinte energie e tensioni. Bologna è stata la culla delle nuove generazioni di musicisti imparentati con la diversità, con la saporita vena di follia, con il gradevole gusto dell’improvvisazione e della sorpresa gettate in un calderone dove, nel giro di un paio d’anni, si sono affinate, evolute e affermate le qualità più strettamente musicali e tecniche, frutto di lunghi e duri tirocinii tra cantine, garages, teatrini e una montagna di indifferenza mista a perplessità...».
* Tra le numerose iniziative promosse da Oderso Rubini ed il suo Harpo's Bazar all'inizio degli anni '80 è da annoverare la fondamentale 'ELECTRA 1, 1981 - Festival per i fantasmi del futuro', tenutosi a Bologna: vi parteciparono Gaz Nevada, Band Aid, Peter Gordon, Bauhaus, DNA, Lounge Lizards, Chrome, Magazzini Criminali. La rassegna conferì un respiro internazionale a tutto ciò che stava succedendo a Bologna in quei giorni.
3 - Maurizio Fasolo (Pankow)
“God's Deneuve” voleva essere la continuazione del discorso cominciato con “Throw Out Rite” (il nostro primo lavoro, completamente autoprodotto e uscito su cassetta per Electric Eye), ricordo i combattimenti durante la produzione alla Kindergarten e alla fine non uscì il suono che pensavamo, ne venne fuori un polpettone all'italiana con mega produzione cominciata a Firenze e finita a Roma. Ma sono passati più di 30 anni, basta continuare a criticare questo lavoro che forse abbiamo suonato solo un paio di volte dal vivo. Qualcuno lo considera come uno dei fondamenti della musica creata in quel periodo... ma siete sicuri?? NME che qualche mese prima osannò Throw Out Rite, stroncò di brutto God's Deneuve e fu per noi la conferma che ci fece capire come dovevamo muoverci in futuro, di lì a poco cominciammo con Contempo che, come noi, aveva idee più ‘universali’ e dopo il primo nostro album ci siamo finalmente staccati da quell'asfissiante ghetto fiorentino/italiano che si era creato e che non ci è mai appartenuto.
4 - Ulderico Wilko Zanni (Rats)
C'est Disco è il brano che dà il titolo al nostro primo mini album, uscito nel 1981 per la Nice Label, costola della bolognese Italian Records di Oderso Rubini. Parlare di quei tempi senza sconfinare nella nostalgia non è affatto difficile per me. Basta dire che il gruppo era formato da ragazzini che avevano una età che andava dai 14 (nel mio caso) ai 17 anni. La nostalgia, quindi, non può che essere vissuta solo dal punto di vista anagrafico. Di certo, non per la consapevolezza di ciò che la nostra "arte" produceva, visto che tutto era dettato dall'istinto più puro e selvaggio, unitamente a una grande urgenza di comunicare. Che Red Ronnie (produttore esecutivo del lavoro) lo definisse talento, è per me lusinghiero ma forse un po' esagerato. Per quello che posso ricordare, dovendo andare indietro di oltre trent'anni, la traccia nacque in studio da una linea di basso di Franz (Francesco Monti NdA). Oderso ebbe l'idea di metterla in loop (pratica che avrebbe avuto larghissimo uso parecchi anni più tardi) utilizzando qualche decimetro di nastro, riprodotto poi da un Revox e riversato sul multi-traccia.
La parte di batteria fu suonata da me, nonostante fossi il chitarrista. La scelta di non utilizzare chitarre ma solamente un synth per completare l'arrangiamento, fu dettata dalla coerenza stilistica per il senso che volevamo dare al brano. Quanto di più lontano dal rock ci potesse essere! Voleva rappresentare il nostro modo (un po' naïf) di dissacrare un ambiente che non ci stava molto simpatico. Quello delle discoteche ‘commerciali’ e dei loro frequentatori. Sempre attenti nell'apparire piacevoli alla vista ma totalmente vuoti nello spirito. Il testo cita ossessivamente una frase 'We only wanted to be loved' e racchiude la sintesi di ciò che vedevamo noi in quella scena. È una citazione di Fodderstompf dei PIL, che allora era per noi una band di riferimento, visto che seguivamo le gesta di Lydon/Rotten fin dai tempi dei Pistols. Ascoltando “C'est Disco”, nessuno (noi compresi) avrebbe potuto immaginare la nostra evoluzione. Di certo, io posso dire che la amo allo stesso modo di “Indiani Padani”.
5 - Giampiero Barlotti (Contempo Records)
Baciami Bartali erano un gruppo di Ancona, la loro musica era una new wave tipica di quegli anni in Inghilterra, simile a quella di gruppi quali i Cure. Il leader e cantante Carlo era un tipo timido ma simpatico, alto ed allampanato, quando il gruppo veniva a Firenze non mancava mai di andare a mangiare la pizza poco fuori città, in un ridente paesino sulle colline. Il gruppo ha suonato al Tenax, per la serata Contempo nel 1985, assieme a Carillon del Dolore, Vividanse, Death in Venice, Soul Hunter. Il curioso nome del gruppo ha questa genesi: consultando un giornale sportivo alle pagine sul ciclismo, a Carlo venne in mente la famosa foto di Bartali che passa la borraccia a Coppi su una salita del Tour de France, ma il batterista, considerato che il binomio Coppi-Bartali suonava male come nome per una band musicale, esordì con un BaciamiBartali, che esemplifica bene il clima compagnonesco tra i due ciclisti, mentre faceva sganasciare dalle risate il resto del gruppo, che approvò la scelta. Per quanto riguarda i Diaframma, determinante fu l'incontro tra Sandro e me a Londra, dove si discusse sui primi gruppi da produrre per un'eventuale label discografica, ed avendo apprezzato il nastro dimostrativo ricevuto poco prima da Nicola Vannini, che lo aveva portato nel nuovo negozio di via dei Neri, decidemmo di produrli come prima uscita.
Il disco vendette bene, cosa che ci aiutò a produrre anche il mix Yassassin dei Litfiba come seconda uscita, la qual cosa fu di enorme beneficio per il gruppo stesso che, essendo in giro da parecchi anni senza aver ancora prodotto nulla di ufficiale - discograficamente parlando- stava rischiando di sciogliersi nelle parole stesse di Piero Pelù. Nel frattempo la prima mostra delle etichette indipendenti svoltasi nella nostra città aiutò considerevolmente il mix, cosicchéla Contempo riuscì ad assoldare nuovi gruppi dell'area fiorentina e non, tra i cui i Pankow che, probabilmente rimangono a tuttora il gruppo italiano da noi prodotto che più ha avuto apprezzamento all'estero. Per quanto riguarda progetti futuri non è escluso il rilancio dell'etichetta, come dimostra la recente riedizione del catalogo Carillon del Dolore, gruppo romano da noi prodotto all'epoca con la collaborazione artistica di Valor of Christian Death's fame, il cofanetto Pankow ed un cofanetto dei Neon, che per noi rappresenta un'acquisizione recente, dato che all'epoca incidevano per altre etichette.
6 - Piero Pieri (Luc Orient)
I Luc Orient sono nati da una costola dei Revolver che nel 1979 avevano pubblicato per la Philipse collaborato con i Chrisma (ancora senza K). Non so dire se eravamo davvero minimal, non mi sembra, forse più eclettici, curiosi e poco interessati all'idea di ‘genere’. Certo fummo fortunati a firmare quasi subito un contratto succulento con la CGDe per qualche anno lavorammo con la produzione di Gino D'Eliso che aveva creato il marchio Mitteleurock e con Nanni Ricordi. In buona sintesi eravamo dei marziani: alieni provenienti da una città di confine (Trieste, NdA) - mica un confine qualsiasi, la guerra fredda era ancora in atto - alieni rispetto ai nostri 'colleghi' triestini tutti dediti a seguire influssi sepolti da dieci anni, alieni rispetto ai vicini del Great Complotto che potevano contare sulla portentosa spinta di un movimento di gruppo, alieni rispetto al resto dell'onda italiana. Ma non avevamo tempo per sentirci soli, avevamo una rete nel mondo dell'arte e della fotografia, pensavamo e seguivamo personalmente lo sviluppo delle copertine dei dischi, ci inventavamo un'estetica che riflettesse il legame con la nostra terra. Tra tutti ricordo Juliet Art Magazine, Piermario Ciani - esplosivo situazionista dell'arte cui dobbiamo la foto nella compilation della Spittle - lo studio Tassinari e Vetta Associati, oggi Compasso D'Oro per il Graphic Design.
Non per niente in CGD eravamo noti come 'quelli del look' e la cosa ci faceva imbestialire: un commento che sembrava riduttivo e superficiale. Ma è pur vero che non abbiamo mai compreso le divisioni tra generi musicali e meno che meno tra le diverse espressioni artistiche. Ci sentivamo 'il gruppo che cadde sulla terra' con la testa nel Bauhaus, i piedi nel funk ed il cuore nel Mali. L'aria dei Balcani era familiare, il folk da quelle parti ha sempre avuto un tiro punk, le scale minori armoniche entravano nei nostri synth, il problema era adattare i tempi composti alla batteria elettronica e anche i testi delle canzoni perdevano la bussola, non sapevano bene che lingua scegliere, così si usavano tutte e spesso tutte insieme! Il contratto con CGD nel gennaio 1984 produsse la pubblicazione del singolo “Gambe di Abebe/About the Weather”, una campagna TV, interviste, passaggi radio, bla-bla. L'album e i 12" rimasero chiusi nelle buone intenzioni della casa discografica, che infine realizzò che non eravamo poi tanto disponibili a compromessi.
7 - Fulvio Guidarelli (Lisfrank)
Nei primi anni ‘70 la scena musicale mondiale era dominata da grandissimi artisti e musicisti. All’epoca se non eri un grande musicista e se non avevi una grande voce, non potevi fare nulla. In quegli anni in Italia poi c’era una tensione socio-politica che rasentava la guerra civile. Gli artisti dell’epoca o facevano musica Progressiva o erano cantautori. In realtà chi avesse voluto fare musica differente non aveva alcuna possibilità. Ma finalmente dalla seconda metà dei ‘70, con l’avvento del Punk, le cose cominciarono a cambiare. E successivamente, la commercializzazione dei primi sintetizzatori e drum machines a costi relativamente contenuti, diede la possibilità a molti giovani come me di creare musica. In una piccola città di provincia come la mia, era molto difficile trovare musicisti, e la difficoltà ancora maggiore era la sintonia delle idee, così dopo diverse esperienze negative mi convinsi che era meglio andare avanti da solo.
Così, con pochi soldi, pochi strumenti, ma con un grande entusiasmo, entrai in studio per registrare il materiale del mio “Man Mask”. Entrare per la prima volta in uno studio di registrazione professionale fu una emozione incredibile. Registrare passo dopo passo le mie composizioni fu elettrizzante: pista dopo pista le canzoni prendevano forma e finalmente nasceva la mia musica. Erano i giorni del Post Punk/New Wave, arrivava finalmente una nuova musica, fresca, semplice ma incredibilmente creativa. Nuovi artisti come Human League, Cabaret Voltaire, Chrome, Gary Numan & Tubeway Army, Joy Division, Ultravox, Bauhaus e molti, molti altri aprivano le nostre orecchie a nuove vibrazioni. Con le loro geniali intuizioni capovolsero letteralmente il mondo musicale dell’epoca. Decisamente una nuova onda aveva sommerso tutto!
8 - Nicola Vannini (Diaframma)
Dal mio punto di vista raffredderei un po' gli entusiasmi e la retorica da operazione nostalgia, la verità è che quando fai certe cose non sei necessariamente consapevole di quello che fai. Ovvero sei sicuramente coinvolto, ci credi, ti sembra di aver fatto un buon pezzo, ma in realtà non riesci a renderti mai conto fino in fondo di certe dinamiche, delle conseguenze che in qualche modo ti fanno rimanere nella storia della musica italiana. E' una condizione che si può realizzare solo a posteriori, con il senno di poi. Comunque Pioggia era sicuramente uno di quei pezzi che poi ti porti dentro, anche perché fu il nostro primo singolo insieme ad Illusione ottica. Ricordo che sul 7" originale decidemmo di non indicare lato A e lato B proprio per la difficoltà di dover scegliere e dare una priorità che non ci sentivamo di voler dare, o meglio dare un'importanza secondaria da lato B ad uno dei due brani. Sta di fatto che riuscimmo a risparmiare 800.000 lire dai nostri concerti e andammo a registrare il disco all'Italian Records di Bologna. Ci sembrava già di aver fatto tantissimo! Entrambe le canzoni furono poi cavalli vincenti nelle scalette dei Diaframma, almeno fino a quando io non uscii dalla formazione. Mi ricordo la bellissima sensazione che mi dava il fatto che con pochissime note eravamo riusciti a fare una canzone, ciò mi dimostrava che molto spesso contano le idee più del fatto di saper o conoscere la musica. In quel periodo tutti o chiunque avesse velleità artistiche poteva dire qualcosa. Il difficile era dargli un seguito e solo chi aveva testardaggine e idee continuava.
* Vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che si sono rese disponibili con grande spirito di partecipazione e collaborazione a lasciare il loro contributo fondamentale nella ricostruzione di alcune atmosfere, entusiasmi, aneddoti che sono direttamente ricollegabili allo spirito di fermento e di grande euforia di quegli anni, li ringrazio per quello che sono stati, per ciò che hanno saputo dare ma soprattutto per le belle persone che sono, ognuno di loro mi ha insegnato una grande lezione e mi ha regalato emozioni inattese che conserverò come ricordo prezioso e indelebile di questa bellissima esperienza (N.d.A.).