Stephan Mathieu & David Sylvian WANDERMÜDE
[Uscita: 21/01/2013]
Di David Alan Batt da Beckenham, Kent, in arte Sylvian, sappiamo tutto o quasi. Delle sue prodezze discografiche son pieni i manuali di musica contemporanea, e le riviste specializzate, in generale pregne di legittime lodi per il fuoriclasse albionico; molto meno si sa di Stephan Mathieu, talentuoso manipolatore di suoni di ascendenza germanica, ritrovatosi assieme al Nostro in questo singolare progetto di riscrittura, in chiave sperimentale, di materiali estrapolati da “Blemish”, album di David Sylvian uscito nel 2003, contemplante in sé di già una notevole carica di sperimentalismo, coniugato con buoni, seppur non esaltanti, risultati, con la tradizionale impalcatura morfologica propria delle canzoni di David. Questo “Wandermüde” è il frutto della collaborazione dei due, in forma di destrutturazione elettronica del suono. Gli esiti sono alquanto deludenti, è bene essere perspicui sin da subito.
Trattasi di sette tracce di simil-ambient piuttosto accidioso del quale francamente non s’avvertiva la necessità. Intendiamoci: ammirazione sconfinata per David Sylvian, per tutte le mirifiche gemme sonore che egli è riuscito a distillare nel tempo, talune degne di far parte di un ideale Pantheon musicale dell’ultimo scorcio di Quaternario.Tuttavia, il dipanarsi di questi “tapis-roulants” sonici, non ci convince né, a maggior ragione, ci avvince. David non è certo Brian Eno, alchimista di un suono futuribile che lo rassomiglia a un immortale androide: e nemmeno Robert Fripp, poeta sino al midollo in ordine a paesaggi sonori pertinenti a delle stelle esplose nelle costellazioni del cuore umano. Esperimenti che vanno oltre il classico e fatato repertorio di brani sognanti di Sylvian, nei quali la sua voce, tuffata in abissi di prezioso velluto, disegna angeli rilkiani, traendoli dal cielo delle note e imprigionandoli nel carcere dorato d’un pentagramma: esperimenti che non rilevano granché. Solo la traccia finale serba, sia pure in nuce, frammenti dell’originario splendore: Deceleration, rivisitazione destrutturante, ma non priva di cromature ammalianti, di A Fire In The Forest, il brano più intenso di “Blemish”. Il resto è autoreferenziale accademia.
Commenti →