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21 Marzo 2021

Oliver Chaplin Raccontato Da Pincopanco


Da tempo seguo il blog Pincopanco, ovvero “L'enciclopedia dell'eccentrico, un sito che racconta le peripezie dei più pazzi artisti del mondo”. In particolare il blog si occupa di musica anteriore al 1975 e ai suoi rimandi socio-culturali. Un disco in particolare ha colpito l'interesse di Pincopanco: “Standing Stone” (1974) di tale Oliver Chaplin. Ho scritto a Pincopanco per saperne di più e ne sortisce questa bella intervista per Distorsioni.

 

Chi è Oliver e come sei arrivato a scoprirlo?

 

Oliver l’ho scoperto, una quindicina di anni fa, grazie al libro “Progressive & Underground”. La scheda di Cesare Rizzi mi ha colpito molto e appena è stato possibile mi sono procurato “Standing Stone”. Non è stato facile: l’originale è uno dei dischi più rari e costosi della storia. E le prime ristampe non avevano grandi tirature... Comunque è il tipico caso, comune nell’epoca pre-internet, di una passione musicale nata dalla lettura. Le parole di un critico in gamba riescono a dare un’idea precisa di un album prima dell’ascolto. E in questo, almeno con me, Rizzi ha colto nel segno.

 

Sei riuscito a contattare Oliver personalmente?

 

Sì in modo un po’ rocambolesco, molti anni dopo... Mi viene spontaneo mantenere un po’ di riserbo su Oliver come persona perché è quasi l’emblema della discrezione. Dal 1974 vive ritirato, senza tenere concerti e pubblicare album. Di lui non sono note neanche fotografie successive a quell’epoca. Devo dire, però, che lui e suo fratello Chris sono stati molto gentili e disponibili.

 

Perché secondo te questo disco merita particolarmente di essere riscoperto?

 

Per una serie di ragioni. Prima di tutto, per l’originalità. Nell’articolo che ho scritto per Pincopanco ho cercato di avanzare paragoni con artisti britannici e americani. Ma in fondo si tratta di un disco unico. “Standing Stone” è un home-recording, in lo-fi di un one man band. Ecco, con queste tre espressioni inglesi potremmo stabilire già altrettante ragioni di interesse. “Standing Stone” è la prima opera ad affrontare questo filone in maniera davvero sorprendente. Il fatto di essere registrato in casa, a bassa fedeltà e da un solo musicista non è una questione accessoria. Ma sostanziale. I limiti diventano vantaggi. E poi c’è l’ambiente esterno: dal verso degli uccelli ai colpi di martello, dal ronzio delle api agli squilli del telefono. Tutto rientra nel disco semplicemente in quanto parte del contesto. In questo senso “Standing Stone” è un disco con una forte dimensione ambientale. A livello compositivo, poi, Oliver prende due tradizioni, quella del folk britannico e quella del blues americano, e le rivolta come due calzini. E questo rapporto di scomposizione e ricomposizione degli stilemi popolari lo accomuna ai grandi della storia della musica.

 

È un disco piuttosto vario, con varie influenze possibili, questo può essere una sua ricchezza o un limite?

 

Spesso l’ecletticità rappresenta un limite. Soprattutto se il progetto non ha una direzione. O se è pensato come vetrina per il virtuosismo tecnico. “Standing Stone” non ha nessuna di queste due caratteristiche. Il disco è tenuto assieme da un filo rosso, a livello sonoro.

 

È un disco piuttosto innovativo sul piano delle sonorità utilizzate?

 

Senza dubbio. Gli effetti applicati alla chitarra ma anche alla voce e alla ritmica hanno un esito straniante. Echo/delay e phasing stravolgono l’incisione, portano il suono della chitarra al limite, trasformano la parte percussiva in qualcosa di simile a un beat elettronico e rendono incomprensibili le parole cantante. E questo grazie all’apporto di Chris, il fratello di Oliver, ex tecnico del suono per la BBC. “Standing Stone” è allo stesso tempo la testimonianza più tarda e radicale della psichedelia e il precedente più diretto di certa new wave. Quella che negli anni successivi ha mischiato la lezione di Brian Eno e quella di Captain Beefheart. Oliver e Chris lo fanno nel 1974, in modo inconsapevole.

 

Se vogliamo, la storia del rock può essere letta come storia della chitarra elettrica, o del disco in vinile e non, sarebbe interessante una storia della musica letta dal punto di vista tecnico e non solo socio-culturale.

 

È, almeno in parte, quello che cerco di fare con Pincopanco. Tendenzialmente i discorsi al centro del mio sito sono tre: il contributo magico alle incisioni, il rapporto con la tradizione popolare e il rapporto tra la tradizione popolare e l’innovazione tecnologica. Per questo, “Standing Stone” è un esempio perfetto di un certo concetto di eccentricità. Non mi interessano gli artisti anticonformisti per partito preso delle cose. Quelli con un cappello buffo sulla testa, qualche trovata scenica spiazzante e un pizzico di satira dei costumi.

 

So che il comune amico Vincenzo Erriquenz ti ha fornito una consulenza riguardo alle tecniche chitarristiche...

 

Vincenzo è una vera eccellenza. Ci sentiamo spesso, da anni, su questioni riguardanti la chitarra, gli effetti e gli amplificatori. Per me è uno degli interlocutori più stimolanti perché su questo argomento è davvero un’eminenza. E poi è un uomo buono. Tenetevelo stretto!

 

Anche la parte grafica del disco è interessante come segno del tempo.

 

 

Beh la grafica è il punto dolente. L’originale ha una copertina a tinta unita blu. Siccome non risultavano comprensibili il titolo e l’autore, il blu viene rimpiazzato dal verde nella ristampa appena successiva. Il risultato non cambia. È tutto tranne che accattivante ma in fondo si tratta di un’autoproduzione casalinga... A livello tipografico, la questione si fa ancora più particolare: per il titolo viene impiegato Turtle, un carattere creato nel 1971 da Bob Newman per Letraset. Le lettere ricordano, nella forma, i monoliti preistorici a cui allude Oliver ma, come dicevo, le parole sono di difficile intelligibilità. D’altra parte alcuni testi del disco sono incomprensibili per il tipo di vocalità e di effettazione impiegate. Insomma si tratta di un album in cui l’incomunicabilità riveste un ruolo determinante.

 

Come mai secondo te Oliver non ha avuto la riscoperta tardiva capitata ad altri artisti coevi dalle storie particolari come Bill Fay o Vashti Bunyan o Shelag McDonald?

 

Tendenzialmente per tre motivi. Innanzi tutto, Oliver non ha la smania di essere rivalutato dalla critica. È rimasto umile in un mondo di egomaniaci. In seconda battuta, nessun collega lo ha citato come punto di riferimento. Ma neppure ha dichiarato apprezzamento per il suo disco. Questo fatto forse è dovuto al carattere mattoide di “Standing Stone”. E infine, Oliver non è mai tornato sul palco o in studio. Per questi motivi è calato il silenzio sulla sua unica opera. Ma io mi sono chiesto: la valutazione di un disco può dipendere da fattori come il carattere dell’artista, la stima dei colleghi o la realizzazione di altri lavori? Secondo me, no. Il punto è ragionare su “Standing Stone”, stabilire se sia o meno un’opera importante. Per me lo è senza alcun dubbio.

 

Oggi sono molto di moda le ucronie, gli universi paralleli, proviamo a immaginare un mondo della musica dove Oliver è diventato famoso come Eno o Bowie, come fa Aldo Tassone nel suo libro su Kurosawa.

 

È esattamente quello che ho cercato di fare con il progetto grafico “Cotchford Town”. Mi sono immaginato una Londra alternativa, ferma al 1974, in cui Oliver Chaplin riscuote successo e “Standing Stone” scala le classifiche. E in questo senso ho realizzato locandine e scalette, contratti e copertine. Logicamente mi sono ispirato a Scarfolk ma ho sostituito lo scenario ansiogeno con una sorta di retrotopia. Un’utopia proiettata all’indietro. “Cotchford Town” è un universo parallelo in cui la storia del rock britannico è andata per il verso giusto. E le cose si sono messe a posto. Credo davvero che la mia generazione non riesca a immaginare un futuro e si accontenti di fantasticare riguardo ai futuri mancati. Come ci hanno insegnato Mark Fisher e Simon Reynolds. E così ci ho giocato su. Lo slogan dell’operazione è ‘Non c’è più il futuro di una volta. Lottiamo per un passato migliore!’. Ecco in questo senso mi ha molto influenzato l’ultimo Quentin Tarantino. Quello che rilegge eventi del passato stravolgendoli in senso positivo.

 

Grazie a Pincopanco per la bella chiacchierata e invitiamo i nostri lettori a unirsi alla riscoperta di Oliver!

Alfredo Sgarlato

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