Marco Sanchioni La Pace Elettrica
Marco Sanchioni, cantautore marchigiano, di Fano, è senz’altro da annoverare tra coloro il cui percorso sì è affermato per una luminosa e lunga coerenza. Marco, dopo quasi trent’anni di attività ha arricchito via via di nuovi capitoli la sua vena creativa, lirica e musicale. E lo dimostra con il nuovo cd autoprodotto, "La Pace Elettrica", contenente undici canzoni che ci riconducono al nostro instabile e incauto presente, in un cortocircuito di rabbia, tenerezza e ironia. Le fonti ispirative di Sanchioni sono legate a un suono di memoria Hüsker Dü e a un cantato in stile gucciniano (si pensi alla traccia d’apertura L’Alternativo E' Conformista). "La Pace Elettrica" si pone fin dal titolo nel segno della ricerca di una propria misura in un universo circostante dominato da un equilibrio instabile e da apparenti contraddizioni evocate in Meglio Il Giullare Del Re e in Giovedì Grasso. Le canzoni contenute nel cd echeggiano scenari affettati e fittizi a favore di uno spazio di sincerità in cui vadano riducendosi le distanze e le falsità reciproche a favore di un riconoscimento più autentico di sé e degli altri. La ricerca lirica di Marco muove da questo bisogno di schiettezza che prescinde da una ricerca del bello fine a se stesso. Di fronte al garbuglio del mondo l’autore racconta di persone perlopiù immobili, in attesa, che non esprimono giudizi e che anche se condannano e assolvono lo fanno con una forma mentis quasi sempre superficiale. È per questo che nei testi e nella musiche del disco Sanchioni dà un forte imprinting a reagire, emergendo con autentici bagliori di un istante, con efficaci attimi di chiarezza, al di là di una ipotetica opposizione luce-buio. "La Pace Elettrica" mette in scena una poesia che viene dal fondo. Marco è come un archeologo che rovista tra i detriti, cercando la speranza per ridare vita a comportamenti supini di molti individui che preferiscono nascondersi, arrugginendo, guadagnare tempo, trasformarsi, creare. Non tutti ce la fanno, ma molti non vogliono. In definitiva se il titolare di queste meditazioni è un “io” a volte identificabile con l’autore, di fatto tutto l’album si presenta come un racconto di un “noi”, dove prevale la prima persona plurale. Perché è nei legami, nella collaborazione, nel dialogo che diventa possibile scorgere una trama, ritrovare il senso tra le storie del tempo, guarire il disagio della civiltà che ci sovrasta.
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