Steve Gunn THE UNSEEN IN BETWEEN
[Uscita: 18/01/2019]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Dopo un’infinità di collaborazioni (la più famosa quella con Kurt Vile, la meno nota quella che lo vedeva parte dei GHQ, con Marcia Bassett e Pete Nolan, giusto per citare gli estremi) e una considerevole mole di lavori solisti che spesso ha condizionato la messa a fuoco dei vari progetti, Steve Gunn ha finalmente trovato continuità qualitativa, pienamente espressa nel precedente “Eyes On The Line”, risalente ormai a tre anni fa. La partecipazione ai lavori più recenti di artisti folk del calibro di Michael Chapman e Mike Cooper ha rappresentato certamente un contributo importante in tal senso, specie riguardo la scelta di concentrarsi su un suono che abbraccia folk e psichedelia, forte della notevole abilità chitarristica e dell’apparente facilità nel comporre canzoni che, lontane da un struttura classica, riescono comunque a catturare attenzione e a risultare memorabili. In questo nuovo “The Unseen In Between”, bel titolo riferito a un contenuto fortemente condizionato dalla recente perdita del padre, Gunn è accompagnato da Tony Garnier, bassista e “architetto dei suoni” di Bob Dylan da ben trent’anni (nessuno quanto lui, alla corte di Zimmie), dal produttore e multistrumentista James Elkington e dai cori di Meg Baird. Ormai consegnatosi anima e corpo alla canzone di scuola artigianale, quella figlia della tradizione del Village di New York come di Laurel Canyon, East e West Coast riunite, ma sotto l’egida di quel folk-rock britannico innervato di elettricità, Steve ci regala un gioiello inatteso.
Se l’introduttiva, quasi onirica, New Moon fa pensare a un Crosby, già la successiva Vagabond mostra un andamento più attuale, sostenuta da ritmo e chitarre che ricordano l’Australia di Church e Go-Betweens, ma sono presenti anche riferimenti che rimandano alla psichedelia californiana anni '80 e primi '90, quella di Opal/Mazzy Star (Chance) o dei Rain Parade (la splendida New Familiar, dal finale acidissimo). Morning Is Mended risulta il brano più aderente al rigoroso canone folk, mentre si può riascoltare l'influenza di Crosby in Luciano e nella bellissima Lightning Field. Paranoid, il brano che conclude, è l’episodio più anomalo: sostenuta dal pianoforte, arricchita da un arrangiamento spectoriano (campane tubolari, batteria effettata con l’eco, violini) sembra preludere a una possibile svolta per i prossimi album. Noi, nel frattempo, riascolteremo spesso quello che si candida ad essere uno dei dischi dell’anno appena cominciato: fatelo vostro, dateci retta.
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