La prima notte del giudizio (The First Purge) Gerard McMurray
Cast: Marisa Tomei, Lauren Velez, Melonie Diaz, Mo McRae, Chyna Layne, Y'lan Noel, Lex Scott Davis, Patch Darragh, Aaron V. Williamson, Qurrat Ann Kadwani, David Breda, Steve Harris - Durata: 97 minuti - Distribuzione italiana: Universal Pictures - VM 14
Nulla di più politico al cinema di un popcorn film. Non è una novità e “La Prima Notte del Giudizio” non ci sorprende per questo. La serie a cui il film appartiene, “The Purge” (in Italia, come sempre, infelicemente tradotto nel titolo come “La Notte del giudizio” e nel film con ‘lo sfogo’), aveva già avuto nell’episodio precedente del 2016 una svolta molto politicizzata, provando persino a influire sulle elezioni politiche americane. L’idea base della serie è che, in un prossimo futuro, negli USA, con l’andata al potere dei Nuovi Padri Fondatori, fossero introdotte per legge le “notti del giudizio”: dodici ore, dalle 7 di sera alle 7 del mattino, in cui a ognuno era consentito di dare sfogo a qualsiasi impulso criminale, usare tutte le armi che volesse per uccidere impunemente e di conseguenza poter anche organizzare veri “pogrom” contro le minoranze più sgradite. Le implicazioni politiche erano evidenti, ma non esplicite. Invece, nell’anno della sfida elettorale fra Trump e Clinton il terzo episodio “La notte del giudizio – Election Year”, pur se ambientato nel 2025, prese chiaramente posizione e mise in bocca ai Nuovi Padri Fondatori lo slogan di Trump “Make America Great”, facendo persino temere ai suoi fan la fine della serie, perché i Padri Fondatori venivano sconfitti da una Senatrice, appoggiata anche da un movimento di neri (più diretto di così!?). Un “lieto fine” che come sappiamo non è servito a molto, vista la vittoria di Trump nel 2017.
Il prequel della serie
Ecco ora giungere il quarto episodio, che questa volta non ha indugi e sposta le lancette indietro, collocandosi al tempo presente, nel 2018, con un prequel che strizza l’occhio all’insorgere ovunque nel mondo di destre reazionarie, se non fascistoidi, che invocano ordine, ma promettono solo disordine. Se la serie aveva osato prendere inizio, con il primo film, da un quanto mai prossimo 2022, dichiarando che quella fosse la quinta notte del giudizio, ora prova a ipotizzare che tutto questo abbia avuto inizio proprio ai giorni nostri. E per essere ancora più esplicito condisce il film di riferimenti a Trump facili da cogliere per lo spettatore americano, ma non per noi. Per esempio la frase “pussy grabber motherfucker” è un riferimento al vanto di Trump di saper afferrare le donne “by the pussy”. Ma il colpo maestro è stato quello di far uscire il film nella data simbolica dell’Indipendence Day, il 4 giugno. I media statunitensi non hanno mancato di dare risalto a questa provocazione e il film ha incassato in un sol giorno quasi 10 milioni di dollari, sfidando al botteghino l’atteso “Ant-Man and the Wasp”, negli USA già uscito il 6 giugno e in Italia atteso per ferragosto. E di WASP la “prima notte” ne vede tanti in azione, ma non sono le eroine Marvel bensì veri “White-Anglo-Saxon-Protestant” incappucciati come Klu Klux Klan e pronti a fare strage di qualsiasi uomo, donna o bambino, se di colore.
Svolta black e regia
Questa svolta black segue una tendenza molto netta del cinema hollywoodiano, che ha recentemente sfornato il fortunatissimo eroe Marvel “Black Panter” (USA 2018), o l’altrettanto fortunato “Scappa – Get out” (USA 2017). Quest’ultimo film vede all’opera lo stesso produttore della serie, Jasom Blum, specializzato nell’horror e nei generi a basso costo, compreso l’altro titolo in questi giorni in cartellone, “Obbligo o verità” (USA 2018). Accade così che il regista dei precedente episodi, James DeMonaco, artefice di tutta la serie e persino della sua versione UK, oltre che di quella televisiva di prossima uscita, faccia qui un passo indietro e firmi per il prequel solo la sceneggiatura, cedendo il posto a un esordiente regista della new wave black, Gerard McMurray (nella foto), alla sua seconda regia dopo “Burning Sands; il codice del silenzio“, prodotto da Netflix e selezionato nel 2017 al Sundance Film Festival. Una tipica storia di confraternita universitaria con risvolti thriller, però questa volta tutta interna alla black community e alla formazione delle sue leadership. Con “La prima notte del giudizio” McMurray torna invece ai temi dello scontro razziale, già presente nel film del 2011, “Prossima fermata: Fruitvale Station”, la sua unica produzione dopo le prime esperienze con alcuni cortometraggi.
L’ispirazione comune, da Katrina a Staten Island
Probabilmente la scelta del regista di colore non è solo dettata dal desiderio di uniformarsi ad un cast interamente black. A ispirare James DeMonaco per la serie erano stati i saccheggi succeduti all’uragano Katrina, di cui Gerard McMurray è un testimone diretto. Negli USA una gran parte della comunità di colore è convinta che dietro il disastro di New Orleans e dei suoi quartieri neri vi sia stato il dolo delle “élite bianche”, che avrebbero rotto volontariamente gli argini per salvare le loro case e in seguito usato l’inondazione per liberare nuove aree alla speculazione edilizia. A fomentare questa tesi complottista v’è stato il comportamento della polizia. Anziché aiutare i soccorsi ha creato prigioni per la popolazione vittima e per i suoi soccorritori, lasciandoli in alternativa in balìa di bande di saccheggiatori, questi liberi invece di muoversi. Da qui l’ispirazione per “The Purge”, ulteriormente accentuata in questo nuovo episodio ambientato nel municipio newyorkese di Staten Island, dove DeMonaco non solo è cresciuto, ma ha ambientato la sua prima regia, per l’appunto “Staten Island” (USA 2009).
La trama e il suo mood, tra zombie e black music
A fronte di una maggioranza bianca in gran parte di origine ispanica o italiana, Staten Island è caratterizzato da un ghetto nero di case popolari. A dare quindi il giusto umore a questo mix di horror e atmosfera da ghetto nero, il regista McMurray richiama a collaborare con lui un musicista già impegnato per la nota serie zombie di “The Walking Dead” e con cui aveva lavorato nel suo primo film. A sua volta Kevin Lax inserisce nella colonna sonora diversi rapper della east coast, in specie di Brooklyn come Troy Ave, ma soprattutto Desiigner, con cui firma anche alcuni brani. Perché è dentro un ghetto nero che il film s’immagina prenda avvio il primo esperimento di “purga”. Ideato da una psicologa sociale, esso prevede una paga base per coloro che accettano di aderirvi e un premio per ogni omicidio o crimine commesso. Dal suo successo dipende l’istituzione ufficiale della “notte del giudizio”, ma accade che i cittadini anziché darsi a furti e rapine, preferiscano prendersi i soldi di base e organizzare dei rave party notturni, solo per ballare e divertirsi. Oppure per chiudersi in casa timorosi o radunarsi in chiesa a pregare. Da qui la svolta tutto orrore e azione con bande di mercenari inviati dal Governo a fare quello che l’esperimento deve gioco forza dimostrare. Sarà il clan criminale del quartiere, prima interessato solo a rimanere il più possibile estraneo ai fatti, a difendere il quartiere e assumere una nuova coscienza sociale. Il tutto condito da diverse sotto-trame sentimentali tra neri buoni e neri cattivi, o sorelle che si prendono cura dei fratelli tentati sulla cattiva strada. Un congegno narrativo in verità non funzionale e troppo politically correct, che indebolisce il film anziché aiutarlo.
Il successo del film e i suoi attori
Per giorni il film è rimasto primo in classifica per incassi anche in Italia, scendendo lentamente verso il secondo posto, nonostante le molte delusioni del pubblico. A questo successo hanno contribuito diversi fattori, quali l’attesa su come potessero rilanciare una serie che aveva decretato con l’ultimo episodio del 2016 la sua fine, oltre che il lancio promozionale carico di provocazioni sui temi di attualità politica. La sensazione è che la serie possa godere anche in futuro di ottima salute, e che il film debba il suo successo solo ai crediti da questa acquisiti e non ai suoi meriti. L’idea di lavorare su un prequel anziché chiudere la serie era già venuta per “The Election Year”, ma poi era stata abbandonata per non rinunciare a Frank Grillo che con il personaggio del Sergeant aveva dato nel secondo episodio nuovo slancio alla serie. La sua assenza, infatti, si sente, e non è ricompensata dal nuovo eroe protagonista, il capo clan Dmitri, interpretato da Y'lan Noel (nella foto a destra). Come non convince l’eroina Nya interpretata da Lex Scott Davis, o peggio Patch Darragh che non riesce nella parodia di Trump, e non è nemmeno lontanamente inquietante quanto l’originale. Attori tutti di origine televisiva (Y'lan Noel in “Insecure” su Fox e Patch Darragh in “Everything Sucks!” su Netflix), sembrano tutti soffrire di un copione mal congegnato. Lo conferma il flop dell’unica partecipazione importante, quella di Marisa Tomei, pluripremiata attrice con registi come John Cassavetes, Darren Aronofsky, Todd Field e Adam McKay, che qui interpreta il personaggio della psicologa sociale Dr. Updale (nell'ultima foto giù a sinistra), davvero poco credibile, se non ridicola. Unico personaggio di vero orrore, Skeletor, che apre bene il film ma lo chiude con un clamoroso difetto di suspence, anche se ben interpretato da un inquietante Rotimi Paul (nella foto). Speriamo presto di poterlo vedere nel ruolo di Ken Moody, la musa-modello (recentemente scomparsa) di Mapplethorpe nell’omonimo film ancora inedito in Italia, premiato nel 2018 al Tribeca Film Festival, in cantiere da anni e di cui si diceva che a interpretare il fotografo doveva essere James Franco, sostituito infine da Matt Smith. Anche per Skeletor l’errore sembra essere di scrittura. Eppure i riferimenti ideali di DeMonaco sono quelli giusti, ed occorre anche dire che sino a quando la regia è stata sua sembravano anche ben digeriti.
La lezione mancata e le buone intenzioni di DeMonaco
La strada che lo stesso DeMonaco (nella foto sotto a destra) ama indicare è quella dei film di John Carpenter, Wes Craven e George A. Romero. E nelle più recenti interviste cita anche gli antecedenti degli anni ’40 e ’50, quando il cinema di genere riusciva in modo indiretto, tramite western o invasioni di ultra corpi, a raccontare le inquietudini delle guerra fredda o l’incrinarsi delle certezze della classe media americana. Paradossalmente quello che depotenzia invece la portata politica del film è proprio la sua così facile decifrazione. Gli zombie di Romero, i cannibali di Craven o gli apparentemente banali occhiali di Carpenter sono puro incubo, prima di poter essere decifrati hanno già agito, come la “carne nuova” di David Cronenberg, sullo spettatore. Al contrario, ne “La prima notte del giudizio” i ragazzi in sala, interessati allo splatter e all’azione, sembrano vivere il plot come un mero contenitore. Nulla nel film trasforma la materia visiva in sublimazione, non si gioca a sufficienza con gli incubi urbani, scale e anfratti dei palazzoni, gli angoli bui del bancomat di notte, le vetrine dei negozi vulnerabili come le loro esili grate, l’indifesa allegria di un rave party. In passato il cinema di genere era ontologicamente disimpegnato e tendenzialmente sospetto per questo d’essere persino reazionario. Chi scrive è convinto che la comicità e il genere per funzionare debbano rispondere a “istinti reazionari”, far leva sui preconcetti, sull’inconfessabile desiderio di rifiutare la diversità e ripararsi in isole identitarie. Personalmente non giureremmo sulle intenzioni critiche di molti film e registi oggi letti in chiave “antagonista”, ma di certo una lettura di quelle opere in questa chiave, indipendentemente dalle intenzioni dei loro autori o persino in contraddizione con esse, è oggi possibile, proprio per la loro capacità di messa a nudo. E non sono mancati i casi in cui registi e sceneggiatori “di sinistra” abbiano usato il genere proprio per questo. Il professore di filosofia Wes Craven è di certo tra questi, o l’impegnatissimo John Carpenter di cui DeMonaco ha anche voluto riscrivere nel 2005 il film che lo fece conoscere in tutto il mondo, “Distretto 13 – Le brigate della morte” (una coproduzione con la Francia, dirette da Jean-François Richet). Non ultimo tentativo di riprendere temi classici dell’horror, come la licantropia con la sceneggiatura nel 2006 di un film inedito in Italia “Skinwalkers” (diretto da James Isaac).
In attesa della serie TV
Tentativi tutti mancati, ma non possiamo che augurarci che insistendo DeMonaco alla fine ci riesca. O che intorno a lui funzioni meglio la macchina produttiva, perché molti dei difetti di cui qui si parla si riscontrano anche nei film del produttore, quel Jasom Blum di cui abbiamo scritto all’inizio. E nel cinema americano il ruolo del produttore è un ruolo chiave. Vedremo come se la cavano nella serie “The Purge” la cui prima stagione di 10 episodi esordisce martedì 4 settembre sulla reti via cavo statunitensi Syfy e USA.
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