(Almost) “Everything in its right place”: il ritorno dei Radiohead in Italia 14 Giugno 2017, Firenze, Visarno Arena, Parco delle Cascine
“Tutto bene? Ne vuoi ancora?”. Thom Yorke, in un italiano quasi disinvolto, misura la voglia di bis del pubblico fiorentino, prima di ripartire con You and Whose Army? dopo il rituale break alla fine del set principale. Il concerto del Visarno era iniziato un’ora e mezza prima, con dolcezza quasi sommessa: Daydreaming, voce e piano, brano fra i più felici del lavoro “A Moon Shaped Pool”, proprio mentre sole e luna si avvicendano al di sopra dell’arena. Non certo la tipica apertura da concerto rock: è il racconto di un divorzio, quello fra Yorke e la madre dei suoi figli, Rachel Owen, scomparsa poi a separazione avvenuta. Una donna - insegnante di letteratura italiana a Oxford - cui si deve parte dell’amore che lega il leader dei Radiohead a Firenze, più volte teatro delle loro esibizioni: dall’esordio al Flog nel 1994, ai live dei primi anni 2000 a Santa Croce e Piazzale Michelangelo, fino all’ultima presenza italiana - proprio alle Cascine - cinque anni fa. La scaletta prosegue con Desert Island Disk e Ful Stop, altri estratti dall’ultimo album uscito un anno fa, ma mostra ben presto la sua volontà di coniugare presente e passato in modo ancor più netto rispetto all’ultimo tour. Oggi, più che salutare l’uscita di nuovi, grandi album, ci si ritrova a celebrare quelli che hanno fatto la storia: l’ultimo epocale capolavoro rock fu proprio “Ok Computer”, pubblicato esattamente vent’anni fa (il 23 giugno ne uscirà una versione celebrativa, con contenuti inediti). La sua opening track, Airbag, è felicemente accolta dai 53.000 presenti.
Già, nonostante il sarcasmo mediatico sulla presunta vendita di massa dei biglietti per le due date italiane, l’Ippodromo del Visarno raggiunge la sua “portata massima”, pur senza dar l’impressione di calca claustrofobica. La paura inizia a essere vero e proprio convitato di pietra in simili appuntamenti; i controlli in entrata – con ingressi smistati tra i diversi accessi all’arena – vengono accolti con maturità anche dal pubblico nostrano, e lo incoraggiano alla partecipazione. Meno efficace la gestione dell’uscita, con migliaia di persone che si ritrovano all’improvviso in spazi angusti, nei quali non viene vietato il transito di automobili. E’ questa una delle pecche di un’organizzazione non certo perfetta, che anche negli aspetti meno urgenti rivela scarsa preparazione: i tokens di plastica per gli acquisti di cibo e bevande, che anziché snellire le code le ingrassano, complici gli stand – privi di indicazioni e assolutamente inadeguati per i numeri – che fanno rimpiangere le peggiori sagre di paese.
Per fortuna, la musica fa dimenticare gli errori logistici. Proprio A Moon Shaped Pool e Ok Computer sono gli album più rappresentati (rispettivamente 5 e 6 brani, sui 25 totali). La performance è impeccabile quanto rilassata (Yorke, insolitamente di buonumore, danza e scherza in italiano). Peccato che il volume – forse per scelta dei musicisti, forse per le crescenti limitazioni all’impatto sonoro – non renda giustizia al groove e alle escursioni dinamiche della band: un’altra macchia sulla serata, che nega il voto con lode a un allestimento altrimenti eccellente. I cinque di Oxford dimostrano infatti la loro classe anche nel modo in cui inseriscono grafica e luci nello show, e anche chi nelle retrovie rimpiange per un attimo i maxischermi dedicati alla mera “diretta a schermo intero” dal palco, finisce per apprezzare ben presto il valore aggiunto offerto dalla scenografia digitale.
Dopo Pyramid Song con Jonny Greenwood in versione Page - archetto su chitarra elettrica - Everything is in its right place, Let down e Bloom si contendono le ovazioni, così come i brani che conducono all’epilogo del main set (soprattutto Weird Fishes e Idioteque). Ovazioni e applausi che, tuttavia, lasciano ampio spazio all’ascolto attento e silenzioso, in un approccio inedito per la pratica rock: esempio da brividi è la quiete su cui Thom Yorke (nella foto a destra), voce e chitarra acustica, introduce una bellissima Exit Music modellata con dinamica e pathos, cui solo nel finale si inserisce il coro dei cinquantamila spettatori. “Tutto bene? Ne vuoi ancora?”. Certamente! ----- Il crescendo finale del primo bis raggiunge il climax con Paranoid Android e Street Spirit; altra breve pausa ed è la volta di Lotus Flower, da “The King of Limbs”. E’ il gran finale, e la scaletta dimostra fino all’ultima nota la naturale ricomposizione dei due volti dei Radiohead: al pubblico fiorentino viene concessa un’uscita di scena - questa sì - da classic rock concert, con Fake Plastic Trees e Karma Police. Yorke, a nome della band più influente degli ultimi due decenni, ci dà l’arrivederci: “...see you in a pub”.
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