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23 Gennaio 2017 ,

Float FLOAT

13 gennaio 2017 - Seahorse Recordings

Dopo avere ascoltato per intero l’album di Float si comprende il senso di quella foto in bianco e nero che ritrae un faro sulla copertina del disco, risultando chiara la sintesi del linguaggio artistico di Alessio Bosco. Perché i sette brani che costituiscono la tracklist sono una sorta di effluvio di coscienza le cui fibre sono intessute di un’elettronica “umana” ed avvolgente, strutturate in pattern ritmici sempre funzionali ad assecondare una costante ricerca armonica. In questo senso quel faro risponde al tentativo di spiegare simbolicamente i caratteri di una musica dalla duplice natura, tanto rarefatta ed immateriale quanto radicata a terra, avvinghiata pervicacemente ad una idea di pop colto da cui si traggono echi delle dilatazioni di Brian Eno. I quasi trentasei minuti del disco definiscono un viaggio all’interno di incognite profondità, di terre desolate in cui riappaiono simulacri di figure appartenenti ad un passato inquieto, illuminato da una ricerca sonora il cui apparente minimalismo increspa la superficie delle emozioni.

 

La vera cifra del disco di Bosco sta nella cura dei dettagli, nella scelta di elementi che lentamente si stratificano come fossero porzioni microscopiche di una visione più ampia che soltanto alla fine viene ricomposta. L’iniziale A Lighthouse ci introduce in una inquietudine liquida e soffusa con la voce di Bosco che diventa parte integrante del suono senza mai prevalere, mentre già con la successiva She Appeared as a Ghost il nostro esibisce un’ottima padronanza di mezzi espressivi. Il minimalismo marziale di Sons of Saturn definisce una struttura circolare ben costruita da cui si erge un impercettibile climax, così come il rifrangersi inesorabile delle onde in Sailor’s Promises, uno dei passaggi migliori e maggiormente evocativi del disco, innesca un lamento sordo e doloroso che risuona nelle cavità di un guscio delicato. Se le accorate sospensioni ambient di The Bride, al confine con una sensibilità post rock e cinematica, A Lighthouses #2 chiude il cerchio riprendendo la linea armonica della traccia iniziale. “Float” è un disco di grande sensibilità, proprio perché non autoreferenziale e votato ad un utilizzo onanistico della materia sintetica, il cui pregio è quello di avere metabolizzato con personalità i modelli di riferimento senza però riproporne meccanicamente gli stilemi. 

 

Giuseppe Rapisarda

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