Ludmilla Spleen ACEPHALE
[Uscita: 31/08/2016]
#consigliatodadistorsioni
Il duo marchigiano, bolognese di adozione, è Filippo Brandi alla chitarra e Niki Ruggeri alla batteria. Il loro hardcore tanto disincantato quanto caustico e dissacrante ci ricorda tanto le atmosfere anarco punk lombarde e il fermento di controcultura indipendente dell’avanguardia bolognese ma le liriche raccontano decisamente il nostro oggi. Pur sposando l’estetica frenetica e poderosa del Rock In Opposition riescono a portare a galla trasversalmente una predilezione per rifiniture decisamente più sofisticate, coni d’ombra in cui la lettura è più indecifrabile e commista ad una decadenza arty. "Acephale", dopo due precedenti EP è il primo lavoro sulla lunga distanza anche se -non ufficialmente- i Ludmilla Spleen, formati nel 1999, hanno autoprodotto alcuni altri lavori per raccogliere e dare forma alle loro idee. Si rimane inizialmente spiazzati dalla scelta inusuale di proporre un power rock noise in lingua italiana che possa adattarsi a trasmettere l’apatia e le disillusioni che ci contraddistinguono.
Difficile dare un senso, che non sia puramente nostalgico, agli impeti barricaderi, a quell’affiatamento fortemente identitario della rivolta, della protesta, di un climax di fermenti e stimoli dettati da voracità e ideali anche nel nostro grigio e atrofico torpore.
Ma forse è proprio per questo che i nove brani sono rabbiosi e lirici, visionari e cinematici, deliranti di tenebre e di brio. Schegge impazzite di una collisione scintillante, di una detonazione che fa ancora librare nell’etere le scorie di tutto il non metabolizzato, dell’ammasso indiscriminato accumulato e diventato coltre ottundente. Lo dicono i testi immoti e indolenti che raccontano l’ordinario come a declamare la più spoglia e fragile poesia esistenziale, lo dice la musica contratta e coesa, vibrante e trascinante, che non vuole solo fare rabbioso e liberante rumore. Dal crossover sincopato di Fame agli assalti di Abito la battaglia fino alla straniazione di Rosebud o all’elettricità emotiva di La sera del dì di festa.
E’ certamente un procedere non sempre lineare e non sempre ispirato dello stesso catartico fulgore, si procede per strappi e accelerazioni improvvise, a volte si annaspa e si va alla deriva tentando di penetrare stati d’animo ermetici. Si entra in una teatralità che respinge i versi e la musica e mugugna di suoni deformi e disarticolati a trovare una strada o un appiglio (Bilbao). Difficile ridurre tutto ad una semplicità di genere ispirata dal punk o emula delle sue traiettorie derivative. Molto più complicato. Lo zampino di Fabio Magistrali e certi intenti che furono di A Short Apnea e Six Minute War Madness nella ricerca di nuove forme espressive, affiorano nella complessità e nella raffinatezza del cesello, magari dopo una serie di ascolti.
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