The Cure – New Order 07-07-2012, Milano, Arena Concerti di Rho, Heineken Jammin' Festival
Prima delle due date estive dei mitici Cure di Robert Smith all’interno del Jammin’ Festival, quest’anno per la prima volta a Milano dopo anni di insediamento veneziano. E’ la terza giornata del festival, la conclusiva e probabilmente la più interessante quella a cui decidiamo di assistere non solo per i Cure che, almeno per il sottoscritto, rappresentano da sempre una garanzia, ma anche per vedere dal vivo i New Order che non è che da noi passino poi così spesso! Decido, anche grazie al fatto che fa un caldo infernale e devo recarmi all’Arena Concerti di Rho (un parcheggio enorme che d’estate viene sfruttato per concerti all’aperto visto che la capienza supera le 30000 persone) di arrivare intorno alle 19.30, visto che l’ora di inizio del set dei New Order è prevista per le 19.50, perdendomi così il concerto dei Canadesi Crystal Castles, progetto Tecno-Punk guidato dalla cantante Alice Glass che ebbi occasione di vedere un paio di anni fa senza per altro entusiasmarmi più di tanto.
NEW ORDER
Ecco che subito mi tocca però parlar male dell’organizzazione del concerto (e ti pareva!): la biglietteria è lontana dall’ingresso e non segnalata per non parlare del fatto che per accedere all’area adiacente al palco (visto che il piazzale è stato diviso in due aree dai costi differenti) oltre al biglietto devi avere un braccialetto che dovrebbero darti all’ingresso. Peccato che nessuno ci avvisi e quando arriviamo all’ingresso della zona Pit ci rimandano indietro per prendere questi benedetti braccialetti facendoci fare circa un chilometro avanti e indietro sotto un sole ancora cocente. Nel frattempo, I New Order hanno già iniziato a suonare con un bel venti minuti di anticipo sulla scaletta prevista, e mentre camminiamo sentiamo Crystal e il primo brano di marca Joy Division, Isolation. Quando finalmente riusciamo a posizionarci, ci gustiamo un gruppo in buona forma che guidato da un Bernard Sumner un po’ appesantito e orfano di Peter Hook al basso sostituito da Tom Chapman, ci propone un piccolo sunto della loro sterminata discografia di stampo Synth-Pop dance passando da True Faith a 586, The perfect Kiss arrivando a Blue Monday per concludere con una esplosiva Love will tear us apart cantata a squarciagola da tutto il pubblico.
THE CURE
Sono le 20.30 circa quando i nostri terminano il loro set e mentre ancora il sole non accenna a tramontare ci rilassiamo un attimo in attesa dell’arrivo di Bob e soci. Dovete sapere che chi scrive vede i Cure live dal 1984, per cui sicuramente sono un po’ di parte quando dico che questo è uno di quei gruppi/concerti che non puoi non aver visto una volta nella vita, e che indipendentemente da a quale concerto assisterai, non importa dove, non importa quando, non importa che scaletta faranno, puoi stare sicuro che assisterai ad un concerto eccezionale! Sono così arrivate le 21.30, le prime luci della sera incombono e i nostri arrivano subito accolti da un boato all’inizio di Plainsong, che poi lascia spazio a Pictures of you e a High. Robert ci saluta in Italiano con un ‘Buona Sera’ e attacca The End of the world. Il gruppo, classica formazione a cinque con Reeves Gabrels (memorabile ex chitarrista di David Bowie) che ha sostituito Porl Thompson, ci investe con un suono corposo e pieno, Robert è in buona forma, ha perso qualche chilo e anche la sua mobilità ne guadagna all’interno di un palco scarno, eccezione fatta per un ottimo impianto luci che è quello che la band si sta portando in giro per l’Europa.
Il concerto prosegue, arrivando al trittico Play for Today, A Forest, Primary che da solo varrebbe il prezzo del biglietto ma è solamente un anticipazione di quello che seguirà. Un set che arriva a proporci un sacco di brani dall’album del 1984 “The Top” con le chicche di pezzi quali Banan Fishbones, Dressin up, The Caterpillar, The Top (che in questi festival estivi suonano per la seconda volta), sino alla più classica Shake dog shake ma passando anche per Sleep when I am dead, dall'ultimo album, la B-Side The hungry ghost e la bellissima quanto rara da sentire dal vivo, Just one kiss. Sparse qua e là Friday I am in love, Just like heaven, The walk, Close to me ed un’ altra doppietta da brividi come One Hundred Years/Disintegration. Che dire dei musicisti? Simon Gallup ha il suo solito incedere possente e saltellante con il suo basso tenuto sulle ginocchia da vero punk-rocker, Roger O’Donnel disegna trame di synth tanto perfette quanto ammalianti in brani come Trust, o la già citata The Top mentre Jason Cooper pesta pesante sulla batteria a marcare un sound che, con l’innesto di Gabrels suona più marcatamente rock in parecchi passaggi.
Due set di encore che ci propongono The lovecats, Let’s go to bed per concludere lo spettacolo con un’altra doppietta, Why can’t I be you/Boys don’t cry. Un concerto di due ore e quarantacinque minuti con poco tempo per rifiatare e riprendersi dal sudore causato dal ballo e dai canti a squarciagola, per fortuna ogni tanto rinfrescati da un tiepido vento ristoratore. Un concerto FANTASTICO, una scaletta da brividi come da tempo non mi capitava di sentire ad un loro concerto! Facendo un paragone che potrà sembrare azzardato, ma che mi ha sempre visto condividere e comprendere lo stato d’animo di chi mi raccontava un concerto di Bruce Springsteen, credo che il termine di paragone più prossimo sia proprio quello con il Boss perché anche qui c’è sudore, professionalità, c’è coinvolgimento anche se meno partecipato da parte dei musicisti (ma questo è anche il mood che Robert e soci si sono imposti da anni per cui non ci si può certo aspettare qualcosa di diverso), ci sono brani che almeno una volta nella vita tutti voi avete sentito anche se dei Cure non doveste avere neppure un disco; ma ci sono anche pezzi che, per chi li segue da decenni, è un colpo al cuore sentire magari per la prima volta. E’ mezzanotte e un quarto, ci allontaniamo felici ed entusiasti perché abbiamo assistito ancora una volta ad uno spettacolo di alto livello, ma soprattutto perché Robert nel salutarci al termine di Boys don’t cry ci ha fatto una promessa, ‘See you again’ e io ci conto, perbacco se ci conto!
Scaletta:
Plainsong
Pictures of you
High
The End of the World
Lovesong
Sleep When I'm Dead
Push
In Between Days
Just Like Heaven
From the edge of the deep green sea
The hungry ghost
Play for Today
A Forest
Primary
The Walk
Friday I'm in Love
Doing the Unstuck
Trust
Want
Wrong Number
One hundred years
Disintegration
Shake Dog Shake
Banan Fishbones
The Top
Dressing up
The Lovecats
The caterpillar
Close to me
Just one kiss
Let's go to bed
Qhy can't I be you?
Boys don't cry